nuove dal friuli e dal mondo

Villacaccia di Lestizza, 1 Febbraio 2008


Agriturismo Ai Colonos
...per la serie del programma "in file 2008"...

UOMINI DI FRONTIERA, TRA OCCIDENTE E ORIENTE

con CARLO SGORLON
introduzione di MARIO TURELLO - letture di SANDRA COSATTO


 il saluto di Federico Rossi e la prima lettura di Sandra Cosatto   


...l'introduzione di Mario Turello...

     L'incontro con lo scrittore Carlo Sgorlon, che è stato introdotto dal critico Mario Turello.
    Al centro della serata, dedicata a "Uomini di frontiera tra occidente e oriente", è stato  soprattutto il grande viaggiatore Odorico da Pordenone, la cui eccezionale avventura fu un viaggio in estremo Oriente. Sulla scorta delle scarse notizie disponibili e del diario di Odorico "De rebus incognitis" Sgorlon ha scritto "Il filo di seta", un grande romanzo di viaggio dominato dall'incanto del lontano, dell'ignoto, in un'affascinante odissea medioevale dove avventura e fede si mescolano indissolubilmente.
        L'attrice Sandra Cosatto ha interpretato alcune pagine del libro di Scorlon, che tra l'altro è uscito recentemente anche nella traduzione cinese.

Odorico da Pordenone (1265-1331)
(da Wikipedia)

Odorico da Pordenone (al secolo Odorico Mattiussi o Mattiuzzi; Villanova di Pordenone, 1265 – Udine, 14 gennaio 1331) è stato un presbitero e religioso italiano dell'Ordine dei Frati Minori: è stato beatificato nel 1755. Divenuto sacerdote dell'ordine francescano, si distinse per zelo e austerità e fervore missionario. Fervore che lo portò a lasciare il proprio paese per l'Asia Minore e successivamente tra i Mongoli, poi in Cina e India. La sua opera di apostolato gli meritò il nome di "Apostolo dei Cinesi". Tornato in patria per riferire al Papa sulla situazione delle missioni in Oriente, morì a Udine nel 1331. Nella Biblioteca Riccardiana a Firenze c'è la sua relazione del viaggio nelle Indie, compiuto nel 1318. Fu proclamato beato da papa Benedetto XIV il 2 luglio 1755. Attualmente è in corso il processo di canonizzazione.


...Carlo Sgorlon e Mario Turello...
 

Carlo Sgorlon
(da Wikipedia)

     Carlo Sgorlon (Cassacco, 26 luglio 1930) è uno scrittore italiano. I suoi romanzi hanno per tema specialmente la vita contadina friulana con i suoi miti, le sue leggende e la sua religiosità, le guerre mondiali, il dramma delle guerre mondiali e delle foibe, le storie degli emigrati, le difficili convivenze delle varie etnie linguistiche; spesso proprio il passato e le radici rappresentano per Sgorlon gli unici elementi risananti del mondo.
     Originario di Cassacco, un piccolo centro a pochi chilometri da Udine, secondogenito di Antonio (sarto) e Livia (maestra elementare), trascorre il periodo della sua giovinezza prevalentemente in campagna, assimilando la cultura del Friuli rurale che tanta parte rappresenterà nella sua produzione letteraria. Dopo un inizio di studi incostante, compiuti i diciotto anni si iscrive alla Scuola Normale Superiore di Pisa presso la quale si laurea in Lettere con una tesi su Franz Kafka, specializzandosi a Monaco di Baviera. Subito dopo ha inizio la sua attività di insegnante di Lettere alla scuola secondaria e parallelamente di scrittore. Sposato con Edda Agarinis, attualmente Sgorlon vive ad Udine.



 BREVE ESTRATTO DALLA RELAZIONE DI SGORLON
 


...il pubblico all'agroturismo "ai colonos"...
 

Il filo di seta
(Mario Turello)

  

A premessa delle mie riflessioni e valutazioni sul nuovo libro di Carlo Sgorlon Il filo di seta traggo una preziosa citazione Friuli. Uomini e tempi di Giuseppe Marchetti che al Beato Odorico da Pordenone ha dedicato pagine di esemplare chiarezza e acutezza:

«L’originale figura di questo asceta-avventuriero che, all’alba del Trecento, visse, si può dire, viaggiando per l’Europa e per l’Asia, senza altro bagaglio che il bordone e il breviario (e, per un buon tratto, un sacco d’ossa di morti) può riuscire poco persuasiva, se non viene anch’essa inquadrata debitamente nel suo clima storico. Nel secolo XIII le relazioni dei primissimi viaggi in Tartaria e Mongolia dei religiosi Giovanni da Pian del Carpine e le notizie delle prime missioni cristiane in Oriente avevano accesa la curiosità degli uomini del vecchio continente, con le incredibili cose che riferivano. Contemporaneamente un’ondata di misticismo fervido, di cui erano episodi significativi i movimenti religiosi laicali, la diffusione del francescanesimo e quella dei Battuti, in aperto contrasto con le lacrimevoli condizioni della gerarchia ecclesiastica ufficiale, con le feroci discordie intestine e le guerriglie feudali e comunali, creava in molti spiriti un comprensibile disagio e suscitava impulsi divergenti verso le più impensate evasioni dal travaglio materiale e morale dei nostri paesi. Anche il Friuli, nel tempo dei bellicosi patriarchi Raimondo e Ottobono, era travolto in questa tempestosa crisi. Odorico da Pordenone subì evidentemente la violenza di queste spinte interiori: infatti accolse simultaneamente nel suo animo sia l’istinto curioso e avventuroso di Marco Polo, come l’urgenza mistica dei Flagellanti: fu dunque la risultante di queste due forze quella che lo gettò, risoluto e solo, sulle terre e sui mari del mistero e lo agitò senza tregua per quasi tre lustri verso l’ignoto, sul cammino di una nuova, affascinante e rischiosa odissea.

I dati e i fatti della sua vita, trasmessici attraverso il deprecabile costume agiografico del Trecento, tra un fantastico proliferare di leggende e miracoli, risultano oggi in gran parte errati o infidi; talché, a dispetto – o anche per effetto – della ingente produzione bibliografica che lo concerne, non è possibile procedere se non con estrema cautela, tra una sterpaglia di problemi insoluti».

Asceta-avventuriero: la duplice definizione di Marchetti può applicarsi senz’altro all’Odorico di Sgorlon, che nella sua biografia romanzata riesce mirabilmente a  comporre il contemplativo e l’uomo d’azione, l’ecclesiastico zelante e l’ulisside dantesco nella figura del missionario annunciatore del Vangelo in Cina (ma ecumenicamente aperto al riconoscimento dei valori religiosi universali al di là delle loro diverse espressioni culturali).

Ci riesce, mirabilmente, ripeto, non solo e  non tanto facendosi, come il genere biografico richiede,  storiografo attendibile nella contestualizzazione ma soprattutto attraverso l’integrazione romanzesca della vicenda umana di Odorico, di cui così poco sappiamo, e soprattutto, in quella prima, ampia parte del libro che traccia un credibile percorso di formazione e di vocazione, della sua infanzia e giovinezza. Sono pagine, queste, in cui la plausibilità storica sancisce la verità narrativa e poetica, a cominciare dalla data di nascita, il 1265, documentariamente incerta ma felicemente assunta a fare di Odorico il coetaneo di Dante, il cui poema Sgorlon immagina letto dai frati del convento francescano di Udine, e tra essi da Odorico stesso, come Ulisse agitato dalla volontà di perseguire virtute e conoscenza, e di farsi del mondo esperto, delli vizi umani e del valore.

Ancor prima, altri libri, immagina Sgorlon, hanno plasmato lo spirito di Odorico adolescente: la Vita di san Francesco di Tomaso da Celano, la Cronica di Salimbene da Parma, col racconto del viaggio di Giovanni da Pian del Carpine, primo occidentale ad arrivare, nel 1246, alla corte del Gran Kahn, a Karakorum e, altra finestra sulla vastità e varietà del mondo, l’Erbario donatogli dal conte Guido di Porcia.

Ma non fanno, queste letture, che attizzare inclinazioni naturali manifestatesi già nel bambino: una precoce meditazione sulla precarietà della vita, sulla mortalità di ogni essere; una curiosità contemplativa nei confronti della natura, per cui scoprirà in san Francesco un’anima affine (e qui amo ricordare almeno il quadretto idilliaco del piccolo Odorico al ruscello con la madre Viola); un amore per le creature di Dio che si esprime anche nel gesto che lo porta a rifugiarsi nel convento udinese, fuggiasco dal proprio benefattore il conte dopo aver liberato i suoi falchi da caccia, nell’impulso di un carattere ribelle e libertario che gli proviene dal padre, Franz Mateusz, il maniscalco di Villanova di Pordenone, padre che egli non ha conosciuto: insofferente di disciplina al tempo in cui era soldato dell’esercito boemo, insofferente poi dei soprusi  dei Baroni feudatari di Pordenone, quasi assassino per difendere l’onore della moglie insidiata dal figlio del governatore e morto, dopo essersi rifugiato nel napoletano e schierato coi ghibellini di Manfredi, nella battaglia di Benevento, nel 1266.  Sembra suggerire, Sgorlon, che sia retaggio genetico in frate Odorico il suo sentire e vivere il cristianesimo come religione di libertà.

Ma altre figure, altre esperienze Sgorlon inventa quali presupposti e semi culturali e psicologici delle gesta del suo protagonista, a cominciare da Stefan Hussak che, scampato alla prigionia angioina, si fa, lui di stirpe nobile, falegname in Villanova e sposa Viola; da questo secondo padre Odorico  acquisterà il gusto del lavoro manuale e l’abilità di cui farà tesoro anche durante i lunghi anni di viaggio in Oriente. Al proposito osservo come, senza affatto contraddire a quella  verosimiglianza storica di cui dicevo, Odorico sia anche un personaggio tipicamente sgorloniano, e tra poco ne darò altre prove; per il momento segnalo che Odorico è anche un artigiano, un nuovo campione di quell’homo faber che Sgorlon non solo canta nelle sue opere ma che nella vita incarna. E poi la “maga” Lucina, in odore di stregoneria, in realtà una brava erborista, da cui Odorico apprende preziosi principi di farmacopea che gli saranno utili addirittura alla corte di Pechino, e da cui gli deriverà prestigio di taumaturgo. E a questo proposito mi concedo un’altra parentesi, e un’altra anticipazione: tra i pregi di questo libro, principalissimo mi pare quello di non aver ceduto alle tentazioni di quell’enfasi agiografica deprecata da Marchetti:  le guarigioni operate da Odorico sono narrate mettendo la sordina all’interpretazione miracolistica, e la sua santità in genere è accreditata a meno eclatanti virtù: più terapeuta che taumaturgo, più saggio che profeta, e quasi inconsapevolmente carismatico.

Stefan, Lucina, e altri personaggi su cui non  mi soffermo, ovviamente sono emblematici, personificazioni di contingenze storiche, di ambiti culturali, di fermenti religiosi, e attraverso di essi ancor meglio che per mezzo di inserti didascalici Sgorlon ci offre in ampio affresco il necessario contesto della Bildung intellettuale e spirituale di Odorico.

Il  periodo del suo noviziato nel convento di Udine offre a Sgorlon l’occasione per un’altra bella invenzione: tra i francescani viene accolto, in asilo dapprima, come confratello poi, un mongolo, anche lui stanco di guerra e transfuga dall’orda d’oro; da lui Odorico impara i rudimenti della lingua del paese in cui la Provvidenza lo guiderà.

Alla logica narrativa corrisponde dunque il piano provvidenziale: la vita di Odorico si dipana come dal bozzolo il filo di seta che dà il titolo al romanzo, metafora di un viaggio che a sua volta non è che il correlativo spaziotemporale di ogni  esistenza, itinerario all’oriente, all’origine, a Dio.

Dopo una infruttosa permanenza in un convento del Medio Oriente, tra genti musulmane impermeabili all’evangelizzazione, Odorico finalmente – è il 1318 - parte per il Catai. Non mi addentro in dettagli. Dirò soltanto che questa parte, ovviamente  più vincolata dalla corrispondenza  al De rebus incognitis da Odorico stesso dettato in prossimità della morte a frate Guglielmo da Solagna, ha tutta la suggestione della letteratura di viaggio: il fascino e la terribilità dei luoghi, la meraviglia dell’esotico e l’incomprensibilità dell’alieno, la testimonianza delle cose vedute e il racconto delle udite, l’esercizio umano del coraggio e più che umano della speranza si alternano in pagine che hanno il ritmo stesso dei fatti raccontati (il racconto di Sgorlon riproduce anche nella scansione quello che fu il viaggio di Odorico: tredici anni, per un soggiorno in Cina di tre soltanto).

Dicevo sopra dell’Odorico artigiano, della proiezione cioè dell’autore nel suo personaggio; in Odorico riconosco Sgorlon per le connotazioni ecumeniche ed ecologiche della sua religiosità: senza in nulla venir meno alla certezza della vera fede in Cristo, Odorico dimostra un’inclinazione  non dico al sincretismo, il che sarebbe anacronistico, ma quanto meno al riconoscimento dei valori di ogni fede e credenza,  e una sensibilità alla sacralità del cosmo di sentore quasi panteistico.

Anche questo Sgorlon riesce a suggerire con grande misura,  non attribuendo simili opinioni al solo Odorico, ma disseminandole tra i vari personaggi e facendole risuonare problematicamente  dai loro scambi di idee (si veda ad esempio il dialogo tra Odorico e Francesco, il frate mongolo morente).

Anche questa parte, più vincolata alla cronaca reale dell’itinerario, è vivacizzata da Sgorlon con inserti romanzeschi in cui non sarà difficile cogliere echi della letteratura d’appendice: la storia di Abernathi, ad esempio, sottratta al sacrificio, secondo la tradizione indù, sul rogo del marito morto o le mene, al palazzo del Khan, del subdolo ministro dalla maschera di rame. Armonico col tono generale del racconto anche quanto Sgorlon riferisce sull’“Opera” del vescovo di Pechino Giovanni di Montecorvino, e delle conversioni ottenute attraverso la prassi caritativa piuttosto che con l’indottrinamento: e che Odorico impari con stupore a uscire da schemi preconcetti di astratto annuncio del Vangelo è la riprova del cauto astenersi di Sgorlon dall’agiografia. Osservo anche, essendo l’“Opera” dedita soprattutto a sottrarre alla morte le bambine che una crudele pratica cinese destinava spesso ad essere soppresse neonate, che  in questo libro le figure femminili sono tutte connotate positivamente, si tratti di Viola o di Lucina, dell’indiana Abernathi o della cinese Lu Nun.

A Pechino e a Karakorum si manifestano le facoltà taumaturgiche di Odorico, ma ho già detto con quanta cautela razionalizzante venga trattato il tema dei miracoli. Infine, il ritorno in Occidente, alla volta di Avignone per sollecitare dal papa l’invio di altri sacerdoti, e questa volta per la via della seta, tutta per terra, senza la navigazione dell’andata. Il racconto si fa più veloce, più intenso, e assurge a carattere simbolico, pur essendo reale, il passaggio per la Valle della Morte nello stesso capitolo conclusivo che fa dunque precedere la morte di Odorico da un’esperienza di forte valenza spirituale, quasi il superamento di una tentazione estrema, ultimo prezzo del viatico per il viaggio a quel Regno di cui, viandante di Dio, è stato annunciatore.

 Storia e fabulazione, intuizione e proiezione psicologica, obiettività ed empatia, cronaca e sovrasenso sono trama e ordito della seta di Sgorlon; la figura di frate Odorico vi campeggia con essenziale e composta grandezza.


 

     LESTIZZA - Mitici ed eroici personaggi quegli esploratori che, a partire dal Trecento, affrontavano difficili avventure, spinti dallo spirito di conoscenza di altre civiltà, lontanissime da noi, con viaggi che duravano anni. Uno smisurato interesse che li animava nell'organizzare impensate evasioni per poi, magari, raccontarle con pagine dettate ed episodi che alternavano il reale con il fantastico, leggende e miracoli. Realtà e verosimiglianza insieme. Oggi quei racconti sono letti, studiati, commentati perché permettono un confronto diretto con il nostro tempo.
     Il secondo appuntamento di In File 2008, che quest'anno è dedicato alle esplorazioni con il significativo titolo De rebus incognitis, ha visto la partecipazione, diretta e coinvolgente, dello scrittore Carlo Sgorlon e del critico letterario Mario Turello. Le letture, nel corso della serata, sono state di Sandra Cosatto.
     Il personaggio al centro dell'attenzione è stato il frate Odorico da Pordenone, francescano, esploratore, cronachista, nato a Villanova di Pordenone nel 1265, morto a Udine nel 1331. Come curiosità segnaliamo che nel 1265 è nato anche Dante Alighieri.
     Una figura emblematica di asceta e avventuriero, come lo definisce Giuseppe Marchetti nel libro Il Friuli. Uomini e tempi, un grande viaggiatore del Medioevo, che, come Marco Polo, entrambi hanno viaggiato negli stessi territori, è arrivato fino in Cina e fu il primo europeo a visitare la capitale del Tibet.
     Salpò da Venezia in direzione di Costantinopoli e, sempre per mare, raggiunse Trebisonda sul Mar Nero. Attraverso regioni selvagge, fra avventure di ogni genere, toccò Erzeroum, Tabris, Sultanyyâh, Kâshân e Yezd. Imbarcato a Hormuz approdò a Tana di Salsetta (l'attuale Bombay), poi costeggiò la penisola indiana fino a Malyapur, attraversò l'Oceano Indiano e dal Borneo risalì in Indocina raggiungendo Khanbaliq, ora Pechino, che era la meta del suo viaggio, dove esisteva una missione cattolica retta da fra Giovanni da Montecorvino, primo vescovo della "regione aquilonare". Una peregrinazione rischiosa, compiuta con mezzi di fortuna ed interrotta da lunghe soste. Un viaggio, quello di frate Odorico che è durato otto anni.
     Mario Turello, presentando lo scrittore friulano autore de  Il filo di seta (tradotto in questo periodo anche in cinese) che racconta la storia di Odorico, ha esordito sostenendo che Sgorlon ha costruito un romanzo biografico basato sulla relazione che il frate ha dettato, l'anno prima di morire, al suo confratello Guglielmo da Solagna. Quest'opera viene considerata una integrazione del  Milione di Marco Polo.
     "Asceta-avventuriero la duplice definizione di Marchetti - ha detto Turello - può applicarsi senz'altro all'Odorico di Sgorlon, che nella sua biografia romanzata riesce mirabilmente a comporre il contemplativo e l'uomo d'azione, l'ecclesiastico zelante e l'ulisside dantesco nella figura del missionario annunciatore del Vangelo in Cina, ma ecumenicamente aperto al riconoscimento dei valori religiosi universali al di là delle loro diverse espressioni culturali". "Nel secolo XIII  - è sempre Turello ad affermarlo - le relazioni dei primissimi viaggi in Tartaria e Mongolia del religioso Giovanni da Pian del Carpine e le notizie delle prime missioni cristiane in Oriente avevano accesa la curiosità degli uomini del vecchio continente, con le incredibili cose che riferivano".
     Il periodo del noviziato di Odorico nel convento di Udine offre a Sgorlon - secondo Turello - l'occasione per una bella invenzione. Tra i francescani viene accolto, in asilo dapprima, come confratello poi, un mongolo, anche lui stanco di guerra e transfuga dall'orda d'oro. Da lui Odorico impara i rudimenti della lingua del Paese in cui la Provvidenza lo guiderà.
     Perché il romanzo di Sgorlon si chiama  Il filo di seta? La vita di Odorico si dipana come dal bozzolo il filo di seta ed il romanzo diventa metafora di un viaggio.
     Sgorlon ha diviso la sua relazione in due parti, la prima dedicata al personaggio, la seconda ai suoi viaggi.
"Non è che sappiamo molto di Odorico da Pordenone - ha esordito Sgorlon -.  E' vero che ha scritto un memoriale sul suo viaggio però le osservazioni che fa, le cose che descrive sono tutte esterne. Diciamo che gli antichi fino al Petrarca, non avevano l'abitudine di parlare di se stessi e dei loro sentimenti intimi, quindi raccontavano il mondo esterno. Infatti Odorico, nel suo memoriale, parla soprattutto delle cose strane che vede nel suo lunghissimo e avventuroso viaggio. Ci sono molti passaggi di cui lui non parla e quindi noi dobbiamo cercare di capire, con il buon senso, come sono andate le cose. Certamente ha preso una nave indiana del Gran Mogol nel golfo persico e questa nave aveva anche una caratteristica molto singolare per la nostra mentalità occidentale e tecnologica, cioè era fatta tutta di legno, non aveva parti metalliche per cui io mi concedo questo tipo di invenzione e cioè che il povero Odorico ha paura che la nave si sfasci durante una delle forti burrasche dell'oceano Indiano".
     Invece no, c'è una tempesta che viene rabbonita gettando in mare un osso che era appartenuto a un frate minore, ucciso dai musulmani nella città di Tama, l'odierna Bombay, dove c'era anche un convento di frati minori che, a quell'epoca, erano incredibilmente diffusi. Un secolo dopo la morte di S. Francesco i conventi dei frati minori erano 5 mila.
     La ragione per cui si è mosso dal convento di Udine che era appena stato costruito è stata certamente l'appello del vescovo di Pechino. La Cina era stata conquistata dai mongoli di Kubilai Khan, che erano piuttosto liberali in fatto di religione, per cui la comunità cristiana era tollerata. Quando Odorico arrivò a Pechino c'erano già 20 mila cristiani e lui ha raddoppiato questa cifra, pur essendosi fermato a Pechino pochi anni.
     Perché ha scritto Sgorlon un libro dedicato al frate Odorico da Pordenone? "Me l'hanno chiesto tre vescovi - ha confessato - e poi un personaggio così, che mi piace definire il Marco Polo friulano, è poco conosciuto in Friuli.
     Il libro è un misto di storia e di invenzione. "Dove andava la storia - ha detto Sgorlon - ho cercato di rispettarla. Dove la storia non c'era mi sono permesso di inventare avventure non stravaganti, ma verosimili".
     Storie del tardo Medioevo con segnali di Umanesimo e di Rinascimento.
  Silvano Bertossi

 

Per prendere visione del programma "in file 08", si consiglia di entrare nel sito:
 www.colonos.it