Udine (UD), 5 Febbraio 2017
Chiesa di Sant'Osvaldo



CAMPANE

          Dopo aver registrato le campane (con le inevitabili interferenze del traffico veicolare), entrando in chiesa ho subito capito che avrei assistito ad una cerimonia "vivace" e partecipata, notando un nutrito gruppo di  giovani impegnati nella prove preliminari delle letture e dei canti. Le mie intuizioni hanno successivamente avuto conferma anche per la notevole partecipazione di fedeli, dato una Messa alle ore 11.30 potrebbe essere considerata in contrasto con le normali abitudini delle persone... ed invece...



È l'incontro della vita, è l'incontro intorno a te.
Tu che sei realtà infinita, tu ci chiami tutti a te.
E il tuo Spirito è una brezza, che dissolve ogni tristezza,
nell'amore che tu vuoi fra di noi, nell'amore che tu vuoi fra di noi.
È l'incontro della gioia, è l'incontro fra di noi.
Tu risplendi nella gloria, sei presente in mezzo a noi.
Non importa noi chi siamo, ciò che conta è che ci amiamo,
dell'amore che tu vuoi fra di noi, dell'amore che tu vuoi fra di noi.

Nel tuo cuore noi troviamo il Paradiso.
Nel tuo cuore noi troviamo l'unità.
Nel tuo cuore gli orizzonti più splendenti, nel tuo cuore è l'umanità.



PREGHIERE DI APERTURA


...la cerimonia alle Letture...



ALLELUIA


...il parroco Don Ezio Giaiotti all'omelia...



PREGHIERE DEI FEDELI



CANTO ALL'OFFERTORIO


...dalla Consacrazione al Padre Nostro...


...dopo la Comunione...



BENEDIZIONE



CANTO DI CHIUSURA

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...consideriamo interessanti questi due articoli trovati in rete riguardanti la chiesa di Sant'Osvaldo...

Chiesa di Sant’Osvaldo, 90 anni in una mostra
(Messaggero Veneto del 01 agosto 2014)

          UDINE. La chiesa di Sant’Osvaldo compie 90 anni. E, per festeggiarla, venerdì alle 19, nella cappella di via Basaldella, sarà inaugurata la mostra “1924/2014 da 90 anni l’eucarestia è al centro della nostra parrocchia”, per ripercorrere quasi un secolo di storia dalla costruzione dell’edificio, ma anche come spunto di riflessione su uno dei momenti più importanti per la comunità cristiana, ovvero l’eucarestia.
          Una storia per immagini che si snoda lungo tutto il Novecento, attraverso le foto ricordo delle prime comunioni a partire dal 1913 fino a oggi. Il lavoro di reperimento delle immagini è durato mesi e oltre ad aver impegnato gli organizzatori della mostra, Massimo Turco, Ilaria ed Elisa Bertoli, piano piano ha coinvolto l’intera parrocchia di Sant’Osvaldo. A partire dagli archivi, sono stati rintracciati i bambini e sono state recuperate sia vecchie foto, grazie all’aiuto di alcune famiglie che le avevano conservate, sia altre più recenti, per arrivare a completare tutte le annate, con immagini anche singole nei casi in cui non si riusciva a trovare gli scatti di gruppo. Oltre alla foto più antica, del 1913, la mostra, composta da sei pannelli e cento immagini, riserva altre “chicche”: in un viaggio dal bianco al nero ai colori, si nota come per molti anni maschi e femmine rimasero divisi nelle foto di gruppo e solo intorno alla fine degli anni Sessanta se ne comincia a vedere qualcuna che li ritrae tutti assieme. C’è poi uno scatto del 1963 in cui alcuni ragazzini, classe 1953, siedono in chiesa separati dai compagni: furono i cinque che ricevettero l’eucarestia in ritardo come punizione per aver avuto i genitori che aderivano all’allora partito comunista.
          La mostra, al cui taglio del nastro presenzierà il sindaco Furio Honsell, sarà preceduta dalla messa delle 18.30, celebrata da don Luciano Nobile vicario foraneo. Oltre a ricordare l’anniversario della costruzione della chiesa, che risale al 1924 e prese il posto della precedente, distrutta in seguito all’esplosione del deposito di munizioni di Sant’Osvaldo che distrusse l’intero quartiere il 27 agosto del 1917, l’esposizione vuole porre un interrogativo: com’è cambiata la chiesa e com’è cambiato il modo di ricevere la prima comunione in questi novant'anni? Durante questo lungo periodo, in cui si sono succeduti don Valentino Tosolini, don Lidio Pegoraro, don Arrigo Zucchiatti, padre Bruno Roja, per arrivare a don Ezio Giaiotti, oggi alla guida della parrocchia, la comunità cristiana ha attraversato diversi ostacoli, il mondo si è rivoluzionato e la mostra mette in evidenza come anche la funzione dell’eucarestia abbia assunto un significato diverso.
«Ci chiediamo oggi - interviene don Giaiotti - se questo sacramento rappresenti ancora un momento importante per la formazione dei giovani, come avveniva un tempo, o se venga vissuto semplicemente come una tappa obbligatoria, spesso interpretata come una giornata di festa legata unicamente ad aspetti consumistici». Immagini, dunque, per suscitare ricordi e sensazioni legate all’infanzia, ma anche interrogativi per gli adulti, chiamati oggi a educare i figli nella società moderna e nella comunità cristiana. «Un tempo la prima comunione portava ad una partecipazione numerosa e rumorosa anche sopportata all’eucarestia domenicale, cresceva la capacità di comprendere e partecipare», segno di un pensiero che formava la persona, aggiunge il parroco, che conclude: «Oggi le cose sono un po’ cambiate: vedremo se la nostra domanda sarà raccolta».
          La mostra rimarrà aperta al pubblico fino a fine settembre, mentre il 5 agosto a Sant’Osvaldo si festeggerà il Santo Patrono, con la messa delle 19 celebrata da Don Alessio Geretti e, per domenica prossima, è in programma un gemellaggio con Sauris di Sotto, che onora lo stesso Santo.
«La scelta di realizzare la mostra nella cappella – spiega infine Turco – non è una casualità, ma un gesto voluto per dimostrare che la fede e il perdono sono più grandi della profanazione avvenuta nei mesi scorsi quando sono state rubate le particole».

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Strage a Sant’Osvaldo il 27 agosto 1917 senza un perché
(Messaggero Veneto del 27 agosto 2014)

          Nel 1917 il quartiere fu raso al suolo da una serie di violentissime esplosioni che cancellarono e bruciarono un centinaio di case (chiesa compresa), lesionando tutte le altre dove vivevano 1.900 persone e danneggiando in pratica l’intera Udine con conseguenze per 10 mila edifici. Ancora oggi le cause sono un mistero. Una mostra fotografica la racconta di Paolo Medeossi

          UDINE. Se la prima guerra mondiale fu (come gridò Papa Benedetto XV) un’enorme inutile strage, uno degli eccidi più assurdi e misteriosi si verificò a Sant’Osvaldo, quartiere udinese raso al suolo da una serie di violentissime esplosioni, la cui causa non fu mai spiegata.
          La data del 27 agosto 1917, due mesi prima della rotta di Caporetto e proprio mentre la Terza armata dava l’assalto sulla Baisnizza, è rimasta nella memoria di questa frazione. Adesso è arrivato il momento per far finalmente chiarezza rendendo giustizia alle vittime e ai loro discendenti.
          Il centenario della Grande Guerra serve anche a questo, non solo a risvegliare echi patriottici e celebrativi. Sarebbe importante e significativo se nell’agosto del 2017, a un secolo di distanza, aprendo archivi rimasti finora chiusi e inesplorati, si potesse portare un po’ di luce in una vicenda le cui dimensioni non sono mai state delineate e narrate nella loro interezza, a livello di storiografia militare e ufficiale.
          Le esplosioni cominciate alle 10.45 di quella mattina e proseguite fino a sera, stando ai resoconti rintracciabili negli archivi della parrocchia e del Comune, cancellarono e bruciarono un centinaio di case a Sant’Osvaldo (chiesa compresa), lesionando tutte le altre dove vivevano 1.900 persone e danneggiando in pratica l’intera Udine con conseguenze per 10 mila edifici.
          Gli effetti si sentirono fino a Cividale e a Manzano, dove si registrarono pure danni. Impreciso anche il numero delle vittime: quelle civili furono 26 (i loro nomi sono ricordati in una lapide affissa nell’asilo eretto anche quale monumento ai caduti in guerra) mentre, stando a fonti ufficiose, dovrebbero essere stati altrettanti i militari morti, ma c’è chi più realisticamente parla di circa 200. Una strage agghiacciante che colpì le retrovie del fronte italiano in una fase decisiva del conflitto.
          Ci sono due preziosi libri che narrano quelle giornate raccogliendo le testimonianze scritte e orali, che però inevitabilmente – come detto – si fermano sulla soglia del mistero sul perché tutto ciò sia avvenuto. Giacomo Viola nel 1999 pubblicò con le edizioni Kappa Vu «Nell’aria mille fuochi» mentre è del 2006 «Sant’Osvaldo. Appunti per la storia di un quartiere udinese», scritto da Franco Sguerzi ed edito dal Comune.
          Entrambi, con percorsi diversi, spiegano gli anni della Grande Guerra in Friuli quando Udine ne divenne la cosiddetta capitale, ospitando fino a Caporetto lo stato maggiore e lo stesso re Vittorio Emanuele III che aveva preso casa a villa Linussa, a Martignacco.
          A una popolazione di 630 mila abitanti si aggiunsero gli 84 mila emigranti, rientrati dalle Germanie e dagli altri Stati in guerra, oltre a una enorme massa di un milione di militari appartenenti alla Seconda e alla Terza Armata. La regione divenne un campo di battaglia gigantesco dove c’era il fronte, ma c’erano anche le strutture delle retrovie con in primo luogo ospedali e depositi di munizioni.
          E Sant’Osvaldo fu individuata per ospitare un po’ tutto visto che era vicina ai comandi e alle linee di combattimento. C’era il manicomio, trasformato in ospedale militare ospitando fino a 1.500 malati. Accanto alle sedi sanitarie si allestirono quattro depositi di munizioni che, al momento dello scoppio del 27 agosto, contenevano 250 mila proiettili.
          Sull’incredibile contiguità fra luoghi di cura e polveriera si può dare una spiegazione legata alle logiche dei comandi militari. Al riguardo va citato (ecco un dettaglio inedito rispetto ai documenti noti) un libro, poco conosciuto in Friuli, scritto dal dottor Cesare Frugoni, bresciano e personaggio di spicco nella medicina italiana (fra i suoi pazienti ci furono Guglielmo Marconi e Palmiro Togliatti), che dirigeva nel 1917 l’ospedale di Sant’Osvaldo.
          «Di fronte, a circa 300 metri – raccontò Frugoni –, si trovava un deposito di materiali non ben specificati, ma nascosti da teloni neri impermeabili sopra i quali erano tesi i soliti teli con grosse insegne della Croce rossa, così come altri ricoprivano i tetti dell’ospedale. Si sussurrava che vi fosse un deposito di esplosivi e che appunto, per impedire i bombardamenti aerei, fosse stato messo vicino a un ospedale e coperto con l’emblema della Cri». Il terribile inganno, collocando cioè materiale bellico accanto a strutture sanitarie, era una pratica diffusa, ma a Sant’Osvaldo costò tantissimo.
          Sulla causa delle esplosioni non si seppe nulla. Qualcuno parlò di un bombardamento aereo nemico visto che la Grande Guerra inaugurò questa triste pratica e la sola Udine subì, durante quel conflitto, una sessantina di attacchi con 50 vittime. Ma tra le ipotesi spuntarono anche il sabotaggio e, più verosimilmente, l’incidente casuale. Solo pochi giorni prima a un soldato era caduta di mano una bomba e morì. Quel 27 agosto forse uno scoppio analogo causò la spaventosa reazione a catena nei depositi.
          Subito calò il silenzio perché c’era una guerra da combattere e i comandi decretarono la censura. Di fronte a una città devastata e attonita i giornali non scrissero una riga. Proibiti addirittura i funerali. Tutto top secret, rimosso, fra il dolore della gente.
          Il sindaco Domenico Pecile e il Comune si prodigarono nei soccorsi. L’arcivescovo Rossi visitò i feriti e donò 100 lire, giunse anche il re che staccò un assegno da 50 mila lire. Nelle settimane successive gli eventi precipitarono, ci fu la disfatta, migliaia di udinesi e friulani scapparono, arrivarono gli austriaci e la strage di Sant’Osvaldo fu dimenticata, sommersa poi dalla successiva retorica della vittoria.
          A guerra finita, tornarono i profughi e i comitati di solidarietà si misero all’opera. Si costruirono delle baracche per i senzatetto, utilizzate fino al termine della seconda guerra mondiale. Si eresse l’asilo nel 1924 grazie a donazioni e a fatica partirono i lavori della nuova chiesa, progettata dall’architetto Provino Valle, quello del Tempio Ossario e di tanti palazzi in città.
          Ora, nel 2014, Sant’Osvaldo festeggia i 90 anni della nuova parrocchiale e lo fa con una mostra fotografica, a cura di Massimo Turco e Ilaria ed Elisa Bertoli. Una sezione è dedicata alle immagini dello scoppio. La si può visitare accanto alla chiesa dove domenica, alle 8.30, presenti il vicesindaco Giacomello e l’assessore Pirone, sarà celebrata una messa a ricordo delle vittime.
          Momento di riflessione aspettando che il giallo storico sia risolto. Un impegno per l’anniversario del 2017. Conoscere la verità è sempre fondamentale, anche se dopo un secolo.