gnovis dal Friûl e dal mont

Abbazia di Rosazzo
11 settembre 2001 – 11 settembre 2002


Nella foto: Oreste Benet, Martino Scovacricchi, Luigi Casale, Tarcisio Mizzau, 
Giacomo Viola, Giovanni a Paola Urban, Umberto Cordovado, e don Dino Pezzetta.

     Mercoledì 11 settembre, ’anniversario dell’ "Attacco a New York".
     All’11 di ogni mese, a partire dall’11 dicembre dello scorso anno e con l’eccezione dello scorso mese di agosto per le ferie, in Abbazia ci siamo incontrati "Per parlare di guerra e di pace" , toccando di volta in volta i temi che più ci sembravano significativi per capire le possibilità della pace e i le vie cieche della guerra.
     Per questo anniversario abbiamo pensato di parlare soprattutto di "guerra", perché pare che gli Stati non sappiano ancora dialogare e che dopo la guerra all’Afghanistan, ora si voglia dichiarare guerra anche all’Iraq, mentre a Johannesburg il mondo s’interroga sulle spaventose conseguenze che uno sviluppo disequilibrato determinerà per l’intero genere umano se il 20% dell’umanità si mostrerà incapace di dialogare con il restante 80%.
     L’11 settembre, alle 20.30, nella chiesa dell’Abbazia di Rosazzo abbiamo parlato dunque di "guerra" , ma non in astratto e nemmeno soltanto come ipotesi.
     Per noi friulani "guerra" significa: la Grande Guerra, la Guerra di Liberazione, la Guerra di Russia.
     L’Abbazia sorge proprio su queste colline che sovrastano agli scenari della prima guerra mondiale, agli orrori della guerra fratricida, alla partenza da S.Giovanni al Natisone della prima tradotta per la campagna di Russia.
     Un anno dopo quell’11 settembre, che ci ha costretti a parlare di guerra e di pace in modo nuovo, in questa Abbazia millenaria abbiamo poluto riflettere sull’esito tragico – non solo militare ma soprattutto umano – della Guerra di Russia.

Guerra: perché? Il mito della guerra e la tragica realtà raccontata dai testimoni.

     Ci hanno aiutato testimoni diretti e studiosi di quegli eventi, in una chiesa affollata da tanti che quella tragedia l’anno subita insieme a tutti gli sconfitti di ogni guerra: negli ideali, negli affetti, fors’anche nelle speranze in una migliore umanità.

SONO INTERVENUTI

  • GIACOMO VIOLA: La guerra parlata e la guerra vissuta. Il valore e le testimonianze dei reduci.

  • UMBERTO CORDOVADO, reduce dalla campagna di Russia
    Il percorso a ritroso: dalla Russia all’Italia. Ricordi che impongono una riflessione critica

  • ORESTE BENET,  reduce dalla campagna di Russia
    Gli alpini della Julia di nuovo in Russia: in missione di pace
    per il suo appassionato intervento sul libro "Gli ultimi 28" di Bigazzi (Panorama), edito da Mondadori: la prigionia senza ritorno dell’ 86% dei 70.000 italiani catturati dai russi. Perché tanto tragico silenzio sui nostri prigionieri in Russia?
    Italiani dimenticati in Russia.

  • TARCISIO MIZZAU: Italiani dimenticati in Russia

  • LUIGI CASALE, nella sua qualità di sovrintendente del tempio sacrario di Cargnacco, punto di confluenza delle memorie friulane della campagna di Russia
    La campagna di Russia conservate nelle memorie del Tempio a Cargnacco

  • MARTINO SCOVACRICCHI, da sempre impegnato nel mantenere vive le memorie degli internati nei campi di concentramento e di sterminio.
    Il monito dai lager

  • PAOLA e GIOVANNI URBAN, coppia con interessi internazionali, segnalata dalla funzionaria dell ONU-UNICEF Marilena Viviani per una poesia da loro composta sull’11 settembre 2001
    11 settembre (poesia recitata da Eiler Biasutti)


 
Laurino Nardin, regista e coordinatore 

11 SETTEMBRE
(di Paola e Giovanni Urban)


 Eiler Biasutti, mentre recita la poesia 

Signôr!
Chês dôs tôrs ch'a Ti cirvin
ch'a Ti vignivin incuintri
ch'a foravin i nui
a son sdrumadis.
I vôi si sledrôsin
e a sbrissin simpri lassù
a disegna chês sagumis
coladis jù.

L'agnul de muart al è tornât
l'aiar s'imbombe di crûts sflandôrs
e a pluvin gotis di tragjediis e dolôrs
slambris sanganats, sgrisui di spavent
arcs di S. Marc ingredeâts.

Signor!
Dies Irae, Dies Irae
a revòche la catedràl stracolme
e l'organo al grache rot:
armoniis sturnidis, notis stonadis, ciogos di muart.

A si butin jù tanche ucei
e dut s'infonde intun incei.
Il mont intîr al è in corot
e al semene tal grim de cjere
fùcs di vuere.

Signor!
Dal 33 Tu sês lât vie
lassantnus la cros
che l'om al dinèe
folant asse e tuessin
e pâs e amôr al odèe
sot l'ombrene di cjampanii
tôrs a cevole e a gusele.
Vuê, àno sdrumât un simbul
o une gnove babele?

Signor!
Tu tornis a muri inmò un viaç
fra bogns e triscj
par Te une ate angunie
un ati cigo:
“Eli, Eli, lema shebeqtani!”
e doi cauts d'açar plens di int
inmò un viaç t'impirin
tor chês dôs tôrs
ch'a Ti cirivin.
 

Signore!
Quelle due torri che Ti cercavano 
che Ti venivano incontro
che bucavano le nubi
sono crollate
Gli occhi si stravolgono
e scivolano sempre lassù
a disegnare quelle sagome
cadute giù.

L'angelo della morte è tornato
I'atmosfera s'impregna di crudi bagliori
e piovono gocce di tragedie e dolori
squarci insanguinati, brividi di paura
arcobaleni aggrovigliati.

Signore!
Die Irae, Dies Irae
echeggia in quella cattedrale stracolma
e l'organo gracchia rotto,
armonie storne, note stonate, urla di morte.

Escono come uccelli
e tutto sprofonda in un abbaglio.
Il mondo intero è in lutto
e semina nel grembo della terra
fuochi di guerra.

Signore!
Nel 33 Te ne sei andato
lasciandoci la croce
che l'uomo dinega
e fermenta odio e veleno
e pace e amore odia
all'ombra di campanili
torri a cipolla e minareti
Oggi hanno distrutto un simbolo
o una nuova babele?

Signore!
Tomi a morire ancora una volta
fra buoni e cattivi
per Te un'altra agonia
un altro grido:
“Eli, Eli, lema shebeqtani!”
e due chiodi d'acciaio stracolmi di gente
ancora una volta ti trafiggono
su quelle torri
che Ti cercavano.