nuove dal friuli e dal mondo

Ital-Canada – Settimana Italiana

Concorso letterario nazionale

Giugno 2005 - Ottawa, Ontario, Canada

 

Primo premio "Della Capitale" a Paolo Brun del Re

 

 


Fanna, Settembre 2002
Paolo (a sinistra), insieme a me, Bruno Corva ed Elio Toffolo.

Sono Canadese, o sono Italiano?

Di Paolo Brun del Re - Ottawa (Canada)

 

     Approssimandomi all’ottantina (sono solo a poco più di due anni da questo ‘ambito’ traguardo), vorrei vagare con la mente e stabilire la mia identità, ovvero la mia appartenenza, ponendomi questa domanda: Sono Canadese? O sono Italiano? Attraverso gli anni, senz’altro mi son posto altre volte questa domanda, ma gli impegni di lavoro e della famiglia, non mi hanno dato il tempo e la necessaria serenità per poter rispondere adeguatamente.

     Ora, alla mia età, il tempo ce l’ho e avendo ormai raggiunto anche una certa pace interiore con me stesso, ho le necessarie facoltà per una tranquilla riflessione a questo riguardo. Cercherò qui di dare una risposta soddisfacente a questa domanda, che a prima vista sembrerebbe di facile risposta. Ma prima di tutto, dividiamola in due parti dato che, se pur legate fra loro, sono due domande ben distinte. La prima parte dunque:

 

“Sono Canadese? E se lo sono, che Canadese sono?”

     Il Canada è la mia terra di adozione e qui vi abito fin dal dicembre del 1951. Qui sono arrivato assieme alla mia giovane sposa, e qui con lei abbiamo formato la nostra famiglia. Non posso non essere riconoscente al Canada per averci accolti nel subito dopo-guerra ed averci accettati, fin dal principio, come ‘Canadesi’. Il Canada è senz’altro una nazione che merita riconoscenza e rispetto da parte nostra ed io li ho dimostrati non solo usufruendo di tutti i diritti concessimi, ma pure partecipando, come un buon cittadino, a tutti i doveri richiestimi.
     Ma mentre per i miei figli (tutti quattro nati in questa terra) preferisco considerarli (e preferirei fossero considerati anche dagli altri) come ‘Canadesi nati da genitori Italiani’, personalmente non posso che considerarmi un ‘Italo-Canadese’. Anche ‘Canadese’ però, perchè sarebbe una imperdonabile mancanza se non avessi oltre ad un senso di gratitudine per questa terra, anche un senso storico, perchè, in fondo, sono il ‘Capostipite della mia discendenza in Canada’ e inoltre godo, e con buone ragioni, della cittadinanza canadese. Ed ecco la seconda parte della domanda:

 

“Sono Italiano? E se lo sono, che Italiano sono?

     Questa seconda parte della domanda originale, è la più difficile da rispondere! Certamente, sono italiano per nascita, cittadinanza che nessuna legge avrebbe avuto il diritto di togliermi, senza un mio formale e pubblico ripudio di essa.

     Sono uscito dall’Italia già dalla seconda metà del 1946, ad un anno di distanza, poco più, dalla fine della seconda guerra mondiale. Dopo cinque anni di emigrazione stagionale in Svizzera, sono emigrato permanentemente in Canada.

     Mi sia permesso di inserire qui due stralci presi dalla mia “Storia di Vita Vissuta”, scritta esclusivamente per i miei figli e figlie, perciò interamente inediti. Il primo dimostra lo stato d’animo di un giovane diciottenne nel giorno del suo primo espatrio. Il secondo quello di una famigliola appena formata nel momento di lasciare l’Italia. Ed ecco il primo :

 

     “Ottenuto il visto dal Consolato Svizzero di Trieste, iniziai la mia odissea di emigrante! Voglio raccontare per filo e per segno, questo mio primo viaggio all’estero. Tanto per mettere le cose nella prospettiva giusta, allora avevo poco più di diciotto anni!

     Con la mia valigia semi vuota, dalla stazione ferroviaria di Fanna-Cavasso, munito di un biglietto fino a Venezia, circa alle ore sei e trenta del mattino di quel lontano 15 ottobre 1946, presi il treno per Sacile, dove arrivai un tre quarti d’ora dopo. A Sacile dovevo prendere il treno proveniente da Udine per Venezia... quando si sarebbe presentato.

     Con molto fumo, verso le otto e trenta, arrivò questo treno. Era un treno passeggeri sì, ma con i vagoni-merce. Salito su uno di questi vagoni, seduto sulla mia valigia di cartone duro, verso le undici del mattino arrivai a Venezia. Qui comperai il biglietto fino a Berna, mia destinazione finale, via Chiasso. Per questo biglietto spesi quasi tutti i soldi che mi aveva dato mio padre e non mi rimasero che poche lire in tasca. Non avevo portato nulla da mangiare con me e non sapevo veramente la durata del viaggio. Mah!, intanto il biglietto fino a Berna ce l’avevo!  E per il dormire se avessi dovuto pernottare?...  E per il mangiare?... 

     Da Venezia salii, verso l’una e mezza del pomeriggio, su un treno con vagoni passeggeri stavolta, anche se relitti di guerra che ancora portavano il segno del trasporto di truppe. A causa dei ponti ancora non ricostruiti, il passaggio dei fiumi veniva fatto a guado, con i binari su pontoni temporanei. In certi tratti, non essendo il secondo binario ripristinato, bisognava attendere il passaggio di treni che venivano in senso inverso. Per questo e per altri fattori, il viaggio che oggi si può benissimo fare in tre ore o poco più, quel giorno ebbe la durata di circa otto ore. 

     Arrivato alla stazione di Milano verso le nove e mezza di sera, cosa potevo fare senza soldi? Visto che un treno sarebbe partito poco dopo per Como, che si trova a poca distanza da Chiasso e dal confine, decisi di prenderlo e arrivai colà non prima delle undici di notte. Era meglio essere senza soldi a Como che a Milano, dove c’era senza dubbio meno malavita!... E per dormire?...  

     Questo problema lo risolvetti stendendomi su una panchina della stazione e subito mi addormentai. Poco tempo dopo, venni svegliato da una guardia di frontiera con la richiesta di esibire il passaporto. Dopo averlo visto, il doganiere mi disse che avrei potuto riaverlo la mattina seguente all’ufficio della dogana! Quindi mi riaddormentai, senza sentire ne freddo, ne fame! Era già la metà ottobre e non avevo mangiato in tutto il giorno!  

     La mattina dopo, 16 ottobre, riavuto il passaporto arrivai a Chiasso. Dopo l’attesa di altri treni da Milano, che avrebbero portato altri emigranti, mi trovai fra un gruppo di una cinquantina di giovani e dalle autorità sanitarie svizzere fummo portati dove, dopo averci fatto svestire tutti e del tutto nello stesso stanzone, uno ad uno passammo davanti ad un dottore per una visita esterna e poi attraverso una macchina a raggi ‘X’, per assicurarsi che nessuno portasse malattie contagiose in Svizzera. 

     Avuto il permesso di partire, verso sera arrivai a Berna dove, ospitato per qualche giorno da uno zio, finalmente  mi ristorai”.  

 

     In questa città rimasi per i prossimi tredici mesi. Ed ecco ora il secondo stralcio. Allora, dopo esserci sposati nel Giugno 1951, la giovane sposa ed io, ci sistemammo in un appartamentino provvisorio a Zurigo, città dove lavoravo già da quattro anni e da dove, alla fine novembre dello stesso 1951, partimmo alla volta di Liverpool per prendere la nave per il Canada:

 

     “Saliti sulla nave nel pomeriggio del primo dicembre 1951, esattamente alla mezzanotte la nave partì. Questa nave era la “Franconia” della Cunard Lines ed aveva una stazza lorda di circa ventiduemila tonnellate. Anche questa nave fu ingaggiata durante la guerra per il trasporto di truppe e poco dopo del nostro viaggio, fu decommissionata e demolita. La mattina seguente, 2 dicembre, dopo un fermata a Cork, nel sud-est dell’Irlanda, la Franconia prese il largo alla volta di Halifax, rifacendo senz’altro la rotta del Titanic! 

     Addio Friuli; addio Italia; addio Svizzera; addio Inghilterra e Irlanda!... Addio Europa! Allora non potevamo immaginare che nei prossimi cinquantatre anni, avremmo avuto la fortuna di poter fare parecchi viaggi in Italia!

     In quel momento, l’addio alla nostra terra era reale, sentito e veramente tanto doloroso!”

 

     Una volta in Canada e trascorsi alcuni anni, mi sono sentito in obbligo di farmi cittadino canadese, per rispetto e riconoscenza alla terra che mi aveva ospitato e nessuna legge italiana, solo per questo, avrebbe dovuto vergognosamente togliermi la cittadinanza italiana, che mi apparteneva e mi appartiene ancora per nascita.

     A questo riguardo, molti anni or sono, ho scritto un articolo sull’Ora di Ottawa, prima ancora che la legge venisse revocata e nessuna autorità ha sentito l’obbligo, non dico di scusarsi, ma almeno di rispondere con comprensione!

 

Per questo devo qualificare la mia risposta:

  • Sì, sono Italiano, ma non nel senso moderno della parola, ovvero, non essendo stato presente in Italia negli ultimo dieci lustri, non posso essere ne un italiano politico, ne un italiano del progresso e del benessere materiale degli ultimi decenni. In altre parole sono un italiano che ha riacquistato la cittadinanza italiana per proprio sentimento, non per merito di una nuova legge che crede di avermela riconcessa.

  • Sono un italiano che ha diritto al voto in Italia, o qui in Canada attraverso l’Ambasciata, ma per rispetto degli italiani in Italia, che dovrebbero vivere con le conseguenze di questo mio voto, non penso sia giusto esercitarlo.

  • Sono un italiano legato sentimentalmente alla mia Patria non per quello che mi ha dato politicamente, o materialmente da giovane, perchè quello che può avermi dato nella mia infanzia e addolescenza è ben poco. Ed anche questo poco è stato più volte annullato dalla dura guerra patita in giovanissima età, seguita dalla partenza per trovare una sistemazione all’estero, chè la Patria allora non mi poteva dare! E il ricordo di questa guerra coi suoi patimenti e paure, me li sono dovuti portare con me per tutta la mia ormai lunga vita.

  • Sono un italiano delle tre guerre d’Indipendenza, fatte per unire questa nostra Italia; ma non sono un italiano delle due ultime guerre mondiali (1915-‘18 e 1940-’45). Se la prima guerra mondiale può avere una certa giustificazione con delle legittime aspirazioni, la seconda e stata totalmente una guerra assurda!

     Per questo, non è che non consideri tutti eroi i soldati e civili caduti durante queste guerre! Visitando i Sacrari di Redipuglia e di Caporetto, mi sono sentito immensamente toccato dal sacrificio di questi giovanissimi soldati. Centomila a Redipuglia, sessantamila dei quali senza nome! Settemila a Caporetto! E questi non sono che una minima parte di coloro che hanno perso la vita fra la nostra gente, che con queste due guerre, si può ben dire ammontino a qualche milione!  

     Sono un italiano del retaggio tramandatomi dagli avi; un italiano della gloria di Roma, e di Aquileia; un italiano di quei Papi che hanno fatto bene alla religione e all’Italia; un italiano degli eroi del risorgimento; un italiano del rinascimento, e così via.

     Ma soprattutto sono un italiano della lingua di Dante, che mi è stata insegnata in Italia e che io ho cercato di approfondire con la lettura in questa gloriosa lingua, imparando nel contempo la storia e la cultura italiana in Patria e nel mondo!

     Non sono un italiano quando vedo e sento questa lingua strapazzata, includendo troppe e inutili parole straniere e nessuno che senta l’obbligo morale di difenderla come si dovrebbe! 

     Non che sia contrario ad un bilinguismo anche per l’Italia. Con l’appartenenza dell’Italia all’Europa sarà senz’altro necessario.      Ma bilinguismo non vuol dire prendere due lingue e fare un minestrone, ma vuol dire imparare una nuova lingua per poter esprimersi con il mondo che sta diventando sempre più piccolo, mantenendo con orgoglio però la lingua dei padri.

       Questa lingua, assieme a tutti i dialetti e usanze nazionali e locali del passato, sono un patrimonio, un retaggio da salvaguardare ad ogni costo!

     Detto questo, anche se legalmente mi era stata tolta la cittadinanza italiana per ben una quarantina di anni, affettivamente non ho mai cessato di sentirmi italiano. Ora ho anche il diritto di sentirmi canadese, per questo preferisco chiamarmi “Italo-Canadese”, contento di appartenere ‘storicamente’ a queste due grandi Nazioni.

     Dico storicamente, perchè se l’Italia mi ha dato il passato connettendomi al retaggio degli avi con la loro storia, con la loro religione, con la loro cultura, lingua, dialetti e con molte usanze locali e nazionali, il Canada mi da il futuro e mi connetta con la mia stirpe presente (due generazioni della quale già esistono in questa terra) e con quelle che verranno e che le circostanze, come dicevo sopra, hanno portato me a fare delle mie future generazioni, il ‘Capostipite Canadese’, dandomi il privilegio di poter tramandare, attraverso di esse, il mio retaggio italiano in Canada.

Ottawa, Febbraio 2005.