nostalgie friulane
di Roberto Tirelli

Il Friuli che cantava 

     Non era affatto cosa rara che, nelle case friulane di ieri, si sentisse spesso cantare. Non c’erano né radio, né televisione, né stereo: era la gente a cantare. Non perché ci fossero sempre ragioni per stare contenti, ma perché il canto era espressione genuina di una cultura. Melodie allegre o tristi, spesso imparate a memoria, erano un modo spontaneo di manifestare dei sentimenti.
     Il canto è d’altronde una tradizione della cultura friulana che viene addirittura dall’Aquileia antica  ed in particolare dai suoi cori. In effetti più che di solisti, si trattava di mettere assieme voci diverse che si armonizzassero fra di loro. Non occorreva alle volte neppur conoscere la musica né saper leggere: si imparava ad orecchio. Voci straordinarie si esibivano nelle chiese con un repertorio classico di tutto rispetto. Le sacre funzioni non erano soltanto momenti di preghiera, ma anche autentici concerti di pregio, occasioni di alta cultura.
     Al di fuori dalla chiesa le stesse voci intonavano le villotte, canti anche questi per essere eseguiti in coro. Però anche senza essere organizzati giovani e vecchi  portati dalla stessa passione per il canto si mettevano insieme in ogni occasione buona e cantavano.
     Il Friuli che cantava  non era né spensierato né incosciente. Sapeva trovare il modo per stare in compagnia e per farsi compagnia nella solitudine, per trovare parole non sue che faceva sue, ritmi e melodie  capaci di tradurre le profondità di un’anima sensibile.
     Per questo motivo il cantare in coro è oggi una delle eredità più vive del passato friulano per sconfiggere quel  silenzio che, spesso, sa di vuoto.

Sul brear

     Una delle passioni più sincere e durature dei friulani è stata la danza. Sin dall’antichità si ricorda la Mima Bassilla, che,originaria di Aquileia, deliziava con le sue movenze i raffinati spettatori di Roma. Più tardi è venuta la danza sacra che pare abbia caratterizzato per lungo tempo l’esperienza cristiana aquileiese e della quale sembra che permanga il ricordo nel ritmo incalzante di “scrazzule-marazzule”.
     Non così lontana nei secoli è invece una  danza che universalmente viene conosciuta come “la furlana”. Anche autori importanti e conosciuti si sono impegnati a comporre “furlane”  e già da come si caratterizzano questi brani musicali possiamo benissimo comprendere la vivacità  delle mosse che l’accompagnavano.
     Le occasioni per danzare, divenute del tutto profane, erano soprattutto nei giorni di festa e facevano parte del complesso rituale del corteggiamento. Si allestivano dei tavolati chiamati brears sui quali a memoria si producevano i passi tramandati da una generazione all’altra, al ritmo degli strumenti a corda.
     Di alcuni di questi balli tipici si è perduto anche il ricordo del nome, di altri si è smarrita la sequenza dei movimenti. E ciò perché il ballo è diventato un peccato per le sue allusioni, assai esplicite naturali in un contesto di civiltà rurale.
     Oltre alla “furlane” si ricordano “la staiare” (originaria della Stiria), la “sclave”, la “stiche”, la “mortane”… e nell’insieme richiamano un tempo in cui la danza aveva la forza di un linguaggio di comunicazione, la consistenza di una importante eredità culturale.

Armonighe e liron

     La tradizione friulana è particolare anche negli strumenti musicali che accompagnano nei secoli testi sacri e profani. Il primo di cui si ha traccia visiva anche nei mosaici di Aquileia è il “sivilòt”, che solitamente era proprio dei pastori e del dio pagano Pan, sotto il nome di siringa.
Nel medio evo si afferma la “pive” o “pivete” che era una via di mezzo fra uno zufolo e un flauto.
     Serviva per accompagnare le rappresentazioni sacre o le processioni.
Tra gli strumenti a fiato, ma ben diversi da quelli che noi oggi conosciamo, troviamo ancora il flauto e la tromba usati soprattutto nella corte patriarcale. Appaiono anche strumenti a percussione di varia natura come il tamburello o il tamburo vero e proprio.
     Gli strumenti a corda con   la “lire”, un violino ben diverso da quello di oggi usato pizzicato come una chitarra e  varie invenzioni rinascimentali costituiscono la vera tradizione locale. E poi il più tipico “liron”, ingombrante, ma capace con i  le sue corde di ritmare soprattutto i balli.
     Ormai i più tipici strumenti dell’originalità  strumentale  vengono conservati  soprattutto nella musica resiana  ove la “citira” o la “bunkula” sono una preziosa testimonianza del passato e sono sopravvissute alla revisione del settecento e dell’ottocento.
     Più tardi arriva in Friuli quello che è lo strumento per eccellenza della musica popolare, vale a dire l’”armonighe”, assai più maneggevole  degli attuali modelli, impiegato soprattutto in occasioni di festa.
     C’era, tra l’altro, anche il piacere di suonare assieme e nacquero proprio in Friuli gli antesignani di quelli che sarebbero stati poi i complessi musicali. Molte volte le note erano delle perfette sconosciute, ma l’importante erano l’armonia dell’insieme con il piacere dell’amicizia  conditi con l’umanità della imperfezione.

Il gioco

      Di loro natura i friulani erano portati particolarmente al gioco  e non solo i bambini. A tutte le età, infatti, veniva trovato il modo di dedicare un po’ di tempo all’attività ludica, espressione di una semplicità d’animo e di genuinità. Infatti la propensione al gioco dimostra la perenne giovinezza di un popolo nonostante possa avere delle traversie. Quando si smette di giocare è il momento in cui  si perde un po’ della propria originale identità.
     I friulani avevano una vasta gamma di giochi, ma solo di pochi ci si ricorda oltre il nome anche perché  non sono stati coltivati. Sopravvivono soltanto quelli che vengono riproposti come il “truc” a Cividale. Lo stesso dicasi per i giochi dei bambini  anch’essi radicati nella tradizione, ma scomparsi da quando i nostri paesi  non sono allietati da una abbondanza di neonati e si preferiscono  giocattoli e altre proposte suggeriti dal consumismo.
     I friulani hanno disimparato a giocare benchè  in molti pratichino varie discipline agonistico sportive, che, però, non hanno radici storiche locali. Stanno calando anche i giochi da osteria  con le carte, sono del tutto scomparsi quelli con i dadi…
     La testimonianza del gioco antico è diventata oggetto di conservazione museale ed è entrata nei libri di memorie del buon tempo passato, delle piazze e dei cortili, delle umili case e delle stalle. E un patrimonio, una ricchezza, è scomparso.

La conte

     I friulani di ieri avevano una grande capacità di raccontare. In effetti non essendoci la disponibilità di mezzi di comunicazione se non la parola, questa veniva valorizzata al massimo nei rapporti interpersonali per narrare i fatti accaduti. L’arte del racconto apparteneva soprattutto agli anziani,i quali avevano una grande e lunga esperienza di vita, unita alla disponibilità di tempo. Essi erano il veicolo privilegiato per il passaggio delle conoscenze da una generazione all’altra, sia che si trattasse di avvenimenti realmente accaduti sia di fantasie che prendevano corpo in favole. La “conte”, naturalmente veniva presentata in termini avvincenti per risultare interessante a chi l’ascoltava ed in termini semplici per essere ben comprensibile. A poco a poco si costituiva un patrimonio di nozioni molto importanti non solo per conoscere il passato, ma anche per guardare al futuro.
     La storia di una famiglia e di un paese non si scriveva, ma si tramandava facendo leva sulle emozioni, sui sentimenti, sulle gioie e sulle paure, con sempre sullo sfondo un insegnamento moralistico  che sfociava su  una visione positiva del mondo e delle cose. E i più giovani stavano con la bocca aperta a sentire ed a fissare, a loro volta,nella memoria, quei racconti. Ciascuno poi ci metteva qualcosa di suo per cui anche le storie vere finivano per avere un alto contenuto di invenzione.
     Che importava del resto? La fantasia riusciva a mettere le ali ai sogni ,alle speranze, all’ottimismo e benchè poveri  attraverso “lis contis  di une volte” i friulani si sentivano ricchi  di un bel patrimonio ereditato e da lasciare in eredità.
     Peccato che oggi pochissimi possano dire “Nono contimi une storie”.

La sagre

     Nell’anno del friulano vi erano sempre delle feste dettate soprattutto dal calendario liturgico, giorni in cui  predominava l’aspetto cultuale con lunghe e solenni funzioni religiose. Una volta sola  l’aspetto profano si abbinava con  processioni e riti: il giorno della sagra. In questa ricorrenza i paesi si mettevano in festa, richiamavano gente dai dintorni, organizzavano giochi, musiche, balli, mercati, indulgevano nello spendere e nel trascorrere ore senza dedicarle al lavoro.
     Usanza medievale, la sagra è rimasta viva per secoli, punto fisso del calendario, perché la gente del Friuli, dipinta solitamente come sin troppo seria e severa, sapeva anche far festa. La gioventù soprattutto non attendeva altro per dimostrare la propria esuberanza  e sovente proprio le sagre erano pronube, occasione di incontro per avviare fidanzamenti.
     Il  saper far festa è stata sempre una prerogativa dei popoli meno fortunati, perché nei momenti in cui la vita concede loro una tregua sanno godere, e non altro delle piccole cose. E i friulani si sentivano signori solo per potersi permettere un bicchiere in più o un “peverin” o un dolce, dopo aver risparmiato  per un anno intero qualche “palanche”, messa da parte con fatica.
     La sagra  era un formidabile momento di socializzazione, di incontro, di apertura, un momento anche di spettacolo, di nostalgie e di ricordi. E di allegre comitive che si spostavano a piedi da un paese all’altro cantando e scherzando.
     Davvero quel giorno all’anno non poteva essere più sacro.

La convivialità dei poveri

     Contrariamente a quello che si sarebbe portati a pensare  i più generosi nel passato del Friuli sono stati i poveri. Il poco a disposizione veniva disinteressatamente offerto a coloro che, pur senza chiederlo, dimostravano di averne bisogno. Il mendicante che bussava alla porta non se ne andava mai a mai vuote (ed erano molti) ed all’amico non si rifiutava mai di condividere il povero desco se ve n’era l’occasione.
     In questa lontana abitudine allo stare assieme, al condividere il cibo e, soprattutto, il bicchier di vino, vi sono le radici della convivialità friulana. Oggi non ci sono più problemi alimentari, anzi al contrario tutti guardano piuttosto a non eccedere, ma è il rimasto il piacere di ritrovarsi a tavola ove si intrecciano parole, amicizie, conoscenze, ove ciò che si trova nel piatto spesso è meno importante dei rapporti umani.
     La convivialità dei poveri si esprimeva in passato in diverse occasioni. Una, ad esempio, era il cosiddetto “licof”, vale a dire  il festeggiare il termine di qualche lavoro importante. Certamente una delle occasioni più importanti era il banchetto nuziale ove, per un giorno, si dimenticava la miseria e tutti gli invitati potevano sfamarsi a loro piacimento. Più indietro nel tempo s’usava anche il banchetto funerario che serviva a consolare parenti ed amici della dipartita. Alcuni lasciavano addirittura in testamento l’ordine di festeggiare. In talune ricorrenze fisse dell’anno venivano gratificati con un pranzo i cantori della chiesa oppure si distribuiva del cibo ai poveri.
     La convivialità  arricchiva lo stare assieme, rafforzava le comunità e le famiglie, permetteva di parlarsi e conoscersi. Per questo, quel che ne resta, anche nei tempi dell’abbondanza  può essere considerata una buona eredità della civiltà friulana

Solidarietà

     Una delle caratteristiche del Friuli di ieri che in parte rimane viva anche oggi è la solidarietà, una virtù che si esercitava soprattutto fra poveri nei momenti del bisogno, che sovente si presentavano. L’aiutarsi non  veniva considerato qualcosa di straordinario, ma una pratica assolutamente normale  e spontanea. Le disgrazie facevano dimenticare anche gli screzi fra vicini, le dispute, le piccole invidie, per unire tutti.
     Si potrebbe dire che non tutto il male veniva per nuocere poiché in tal modo veniva praticato un altruismo, permeato anche dall’idea cristiana di carità, del quale non ci si vantava, ma sul quale si fondavano positivi rapporti sociali. La gratitudine e la riconoscenza legavano le persone anche perché non sarebbe mancata l’occasione per rendere quanto ricevuto. Vi era uno scambio positivo e corretto di favori  che non aveva né aspetti clientelari né di interesse, ma viveva di gratuità, di volontarismo sincero.
     Questo è stato ed in buona parte lo è ancora  un  volto positivo della comunità friulana, non solo dei singoli o delle singole famiglie, ma anche sul piano associativo. Le più vive e numerose organizzazioni di oggi  si basano proprio sui principi della solidarietà e del volontariato. Questi sono frutto di una educazione non  basata sull’egoismo, ma sulla condivisione, sulla compartecipazione alle vicende comuni.
     Per muovere i friulani non occorrono particolari appelli. E’ presente in essi una coscienza civile  che si  manifesta come preziosa eredità del passato, di un tempo in cui ci si sentiva  di condividere la medesima  esperienza di vita e di camminare lungo la stessa strada.

L’amicizia 

     Fra gli aspetti positivi del Friuli di ieri si iscrive senz’altro il sentimento dell’amicizia, che nasceva spontaneo sin dai primi anni di vita quando i bambini erano tanti e potevano trovare nell’abbondanza dei coetanei quelle affinità che poi si coltivavano per tutta la vita.
     L’amicizia ovviamente si manifestava in molte occasioni sia in quelle liete sia in quelle tristi,ma in particolare durante la giovinezza,quando lo stare assieme diventava un modo per crescere, per passare il tempo libero, per aiutarsi. Continuava poi nell’età adulta, sin nella vecchiaia quando c’erano da condividere soprattutto i ricordi.
     Gli amici  erano chiamati a conoscere le medesime esperienze soprattutto nei momenti più difficili della storia friulana e proprio così si valorizzava questo sentimento perché nessuno provava l’angoscioso senso della solitudine. Il reciproco sostenersi  è stato alla base di un modello di società  basato sulla lealtà e sulla fiducia, sul pensare positivo. La presenza dell’amico era un riferimento sicuro, disinteressato, costante.
     Oggi tutto ciò è molto più raro perché sono cambiati i tempi,ma anche le persone e le loro condizioni di vita. Il periodo natalizio, però, ci può dare ancora la gioia di riscoprire  come, dietro gli auguri divenuti consuetudine, ci possa essere anche il sentimento sincero dell’amicizia, un vero tesoro ed il miglior regalo da dare e da ricevere.