Franca Mardero - Argentina
Paese friulano d'origine: Gemona del Friuli
Questo é un piccolo condensato
della mia storia di emigrazione:
Siamo nel 2001; sono
passati tanti anni dall'arrivo degli ultimi contingenti di emigranti europei
verso l'America, ma per molti il ricordo di quel volontario esilio é ancora
vivido e nostalgico nella mente, e io sono fra una di questi...
Negli anni cinquanta la mia famiglia
decise di lasciare il paese natìo, nella zona del Friuli e precisamente in
provincia di Udine, a causa di un possibile imminente conflitto che stava per
svolgersi tra la zona italiana di Trieste e la vecchia Jugoslavia.-
Stanchi e paurosi dei conflitti bellici,
avendo già sofferto due grandi guerre mondiali e non volendo saperne di una
terza, i miei genitori, decisero di lasciare per qualche anno la Patria per un
Paese con più pace e prosperità.
L’Argentina era la chimera di quasi
tutti e lo fu anche per noi; così partimmo pieni di speranza per questo grande
continente: l’America del Sud.
Per i miei genitori la partenza fu assai
triste e dolorosa, già che si lasciavano dietro non solo i parenti, ma anche i
propri figli, nonché tutto lo sforzo, amicizie e usanze della loro esistenza in
quella propria terra.
Per noi piccoli, io
ed il resto dei miei fratelli, era tutto un sogno d'avventure, si pensava alle
estese praterie piene di cavalli e magari con qualche "pellerossa",
come si vedeva nei film americani, per cui il distacco fu molto meno triste.
Arrivammo in Argentina il sei Maggio del
1954, in una giornata piena di sole, e Buenos Aires, la città capitale e porto
di sbarco delle grandi motonavi, apparve ai nostri occhi enorme e splendida,
già che eravamo nati e vissuti in una piccola cittadina (Gemona del Friuli ) e
non conoscevamo altro! Il nostro destino era la provincia di Córdoba, più di
settecento Km all’interno.
Il viaggio lo facemmo in treno, questo
mezzo di trasporto era lento e vecchio, con sedili di legno e che traballava in
continuazione, ma in cambio di questo sacrificio, ci si godeva lo spettacolo che
scorreva davanti ai nostri occhi.
Le praterie erano proprio vere, estese ed
interminabili come le avevamo sognate, ma i cavalli erano rimpiazzati da
centinaia e centinaia di bovini.
Il viaggio durò circa venti ore e quando
il treno si fermò, leggemmo su un cartello scritto in color verde:- Jesús
María-, eravamo giunti alla destinazione finale!
Alla vista dei cinque grandi bauli di legno, contenenti le nostre pertinenze, si
formò un grande gruppo di curiosi, visto che non era usuale l'arrivo di
stranieri, le emigrazioni in questi luoghi erano avvenute tanti anni prima e noi
eravamo le ultime famiglie che facevano questo grande passo per una nuova
esistenza.
La cittadina era piccola e graziosa, e a
noi figli piacque subito. Sentir parlare un'altra lingua era meraviglioso, solo
i genitori rimasero seri, forse pensando alla nostra gente ed al lontano paese
natìo.
Ma il nostro entusiasmo durò poco, dopo
alcuni giorni i parenti ci portarono alla nuova dimora prevista per noi. Questa
distava dalla cittadina circa 5 Km, posta in una zona di campagna.
La casa consisteva solo in tre piccole
stanze, con tetto di lamiera e senza nessuna comodità; mancava l'acqua corrente
e la luce elettrica, ricordo ancora vivamente il pianto angoscioso della mamma
nel comprendere che quello che aveva davanti agli occhi sarebbe stata chissà
per quanto tempo il nostro tetto familiare!
La vita in campagna era simile a quella
del nostro paese, salvo che le estensioni e complicazioni del lavoro erano
tante, la mancanza di attrezzi e le alte temperature regnanti dell'estate,
facevano di questo semplice lavoro un vero sacrificio.
I genitori seguivano con nostalgia la loro terra, sempre pensando al giorno del
ritorno in Patria, che non avvenne mai...!
Nel frattempo, noi crescevamo e ci
facevamo nuovi amici, avevamo imparato in fretta lo spagnolo e questo ci
facilitava abbastanza la convivenza con altre persone locali, rendendo così
meno dura la nostra esistenza.
"Gemona", il nome della casa di Franca Mardero in
Argentina
Le case erano disperse, la distanza fra
l'una e l'altra era notevole, così che alla sera, quando si accendeva il
lumicino a petrolio, la tristezza della solitudine e le comodità perse si
accentuavano enormemente.
Le Domeniche erano le giornate più attese
della settimana, non solo perché non si lavorava sotto il sole ardente, ma
anche perché dei nostri cordiali vicini ci portavano in un paese non tanto
distante, chiamato Colonia Caroya. Questo era un paese di circa cinquemila
abitanti, ma la sua particolarità consisteva nel fatto che la sua popolazione
era in maggioranza friulana o veneta.
Sfilare e percorrere l’unica via
principale di questo paese era un vero piacere, e per qualche ora si aveva
l'illusione di incontrarsi al nostro paese, si parlava in friulano, la gente era
contenta e allegra, tanti intonavano villotte o vecchie canzonette, e ancora
oggi, a distanza di tanti anni, si può udir parlare in questo dialetto.
Colonia Caroya é stata fondata da un
centinaio di famiglie emigrate dal Nord Italia circa 130 anni fa, spinti dalla
grande miseria che regnava a quei tempi in Europa, cercando un nuovo orizzonte
ed un miglior avvenire per loro e le future generazioni. Il
grande sogno di tutti era l’america, e così anche loro scelsero l’Argentina.
Ma non fu facile fondare questo nuovo
paese, i terreni che avevano avuto in concessione dal Governo consistevano in
boschi agresti, che fu necessario pulire a forza di zappa e piccone per mancanza
di altri mezzi,mentre la prolungata siccità e le orde di cavallette che assollavano
la cosiddetta zona, fecero passare un nero e duro periodo a questo laborioso e
valoroso popolo..!
Poco a poco la nostra situazione stava
migliorando, ci facemmo più grandicelli, adattandoci giorno per giorno sempre
di più alla cosiddetta "America".-
Si cominciò a
lavorare fuori casa, nell’unica industria locale che serviva per procurarci
qualche soldo, ampliando così le magre entrate che la campagna permetteva.
I nostri genitori non si adattarono mai a
questo sistema di vita, il loro pensiero era sempre lontano, la nostalgia dei
figli lasciati al paese e le differenze di usanze erano un grande abisso che non
si poteva riempire.
Io divenni adulta e conobbi un carissimo
ragazzo che col passar del tempo sarebbe diventato il compagno inseparabile
della mia vita, fu lui che mi riportò in Italia a rivedere la mia gente ed il
mio passato, facendomi così il regalo più meraviglioso.
Oggi stiamo molto bene, abbiamo tutto, o
quasi tutto quello che si può desiderare dalla vita, i genitori sono morti da
parecchi anni, ma in onore alla loro memoria e a quella di tanti altri
emigranti, sempre terrò presente le nostre origini e farò tutto il possibile
per tenerle vivide nella memoria per noi e per trasmetterle alle future
generazioni.
Ringrazio il mio caro Friuli per avermi
dato la possibilità di nascere nel suo seno e aver ereditato la ferrea volontà
di lavoro, nonché la onestà del suo grandissimo popolo...!
Ringrazio l’Argentina per averci accolto
con le braccia aperte, senza riserve e per averci dato la pace ed il benessere
che oggi regna nella mia famiglia!!. FRANCA
L. MARDERO
Franca davanti alla sua casa