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Udine, 29 Dicembre 2009
Parrocchia di San Quirino

          La Parrocchia di San Quirino é situata a ridosso del centro storico della città di Udine, in direzione nord. Attualmente comprende circa 3800 residenti, in progressiva diminuzione (o, presumibilmente, in fuga dal centro storico) con 1750 nuclei familiari, costituiti per un terzo da nuclei monofamiliari (una sola persona), anziani oppure single. Dal punto di vista sociale é molto variegata: sono presenti indistintamente il ceto medio, liberi professionisti, pensionati ed immigrati. In questi ultimi anni i progetti pastorali si sono orientati: all'interno con l'accompagnamento ad una fede consapevole e adulta con lo studio della Bibbia – all'esterno, tenendo sempre alta la tensione missionaria, in modo particolare verso le famiglie ed i "non praticanti". La chiesa parrocchiale attuale è stata consacrata nel 1969. La precedente era stata consacrata nel 1831. Altre chiese ed oratori presenti nel territorio parrocchiale: San Giovanni Battista detta Santa Chiara, presso l'educandato Uccellis.



 CAMPANE

Santa Messa e onoranze funebri per Carlo Sgorlon


Alla liturgia, accompagnata dal Coro del Duomo di Udine,
erano presenti numerose autorità, personalità della cultura ed amici dello scrittore...

Carlo Sgorlon, scrittore e narratore Friulano
(Tratto da http://www.sgorlon.it/ )

Carlo Sgorlon nato il 26 luglio 1930 a Cassacco. Un paese a tredici chilometri da Udine capitale del Friuli. Morto a Udine il 25 dicembre 2009. I suoi genitori, Livia maestra elementare, e Antonio sarto, abitavano già in città. Ma l’abitudine di allora di partorire in casa spingeva la madre, ogni volta che l’evento del parto si avvicinava, in casa della nonna Eva, levatrice provetta e matriarca della zona. Carlo, secondo di cinque figli, visse tuttavia per lunghi periodi in campagna, con i nonni, in assoluta libertà, a contatto con i ragazzi dei contadini e la cultura rurale, intessuta di favole, miti e superstizioni. Di carattere tranquillo, ma anche un po’ anarcoide, Carlo non frequentò quasi per nulla le scuole elementari. Imparava qualche nozione elementare da sé, o con l’aiuto delle donne di servizio della nonna ostetrica. Alla fine di ogni anno scolastico veniva condotto in città per sostenere gli esami di idoneità alla classe successiva. Poi tornava a tuffarsi nei giochi e nella cultura elementare dei contadini. Gli anni in cui un bambino realizza le sue conoscenze fondamentali del mondo, ricavandone impressioni e sottofondi inconsci che poi durano per sempre, Sgorlon li visse quasi per intiero nel Friuli contadino. In Udine frequentò le prime classi della scuola media, avendo come insegnante di lettere una straordinaria professoressa, Maria Ragni, che svegliò in lui il senso addormentato della poesia e dell’arte. Poi vinse un concorso per frequentare le scuole in un collegio cittadino, non certo per necessità di studio, ma soltanto per alleggerire il carico della sua numerosa famiglia. Suo destino diventò quello di vivere lontano dai genitori e dai fratelli. La famiglia tuttavia era sempre la meta delle sue nostalgie. Questo fatto accentuò il suo carattere fortemente sentimentale, affettuoso, solitario, tranquillo e introverso. A diciotto anni vinse il concorso per entrare nella Scuola Normale Superiore di Pisa, tra gli studenti di lettere. Quando pensava all’avvenire esso si legava sempre al sogno di fare il narratore. Si laureò con una tesi più tardi pubblicata, su Franz Kafka, scrittore con il quale sentiva di avere qualche affinità, almeno nel territorio della ricerca religiosa. Poi cominciò l’attività di insegnate di lettere nelle scuole superiori. Si sposò con Edda Agarinis, maestra elementare e negli stessi anni cominciò i suoi primi tentativi letterari, poi rifiutati da lui stesso.


         
 CANTO E BENVENUTO INIZIALI

 

 DON CLAUDIO COMO ALL'OMELIA

 

 FRADIS MIÊI


...le autorità ed i famigliari...


...gli interventi di mons. Giulio Gherbezza, del Sindaco Furio Honsell,
della flautista Luisa Sello e di Romano, fratello dello scomparso...

...benedizione al feretro...


 CANTO


...una veduta traversale nella chiesa di San Quirino durante la cerimonia funebre...

FUNERALI DI SGORLON
«La sua fede traspariva dalla carità»

          UN UOMO DI CARITÀ oltre che un grande della letteratura. È l’immagine che di Carlo Sgorlon è emersa martedì 29 dicembre dall’omelia del parroco di San Quirino, don Claudio Como ai funerali dello scrittore scomparso la notte di Natale. Il rito, tenutosi nella chiesa di via Gemona, completamente gremita, è stato celebrato da nove sacerdoti (oltre a don Como, il vicario generale mons. Gherbezza, mons. Nobile, mons. Della Bianca, padre Cavedon, don Arduini, padre Sisto, mons. Brida, don Stefanutti).
          In rappresentanza del mondo politico c’erano il presidente della Regione, Tondo, con l’assessore Molinaro e i consiglieri Blasoni e Baiutti, l’assessore provinciale Lizzi, il sindaco di Udine Honsell, con l’assessore Reitani, e quello di Cassacco, Assaloni, il senatore Pittoni.
          Don Como ha parlato del «sentimento di sacralità nei confronti dell’infinito mistero dell’essere» di Sgorlon, della sua fede «olistica, globale», della sua «spiritualità che comprendeva anima e corpo, uomo e natura, fede che non gli impediva di partecipare settimanalmente proprio nella chiesa di San Quirino alla Santa Messa ogni sabato sera» assieme alla moglie Edda. Una fede, quella di Sgorlon, ha detto don Como, «che traspariva nell’affetto per tutte le persone» e soprattutto nella carità. Un aspetto questo, ha sottolineato il parroco, «mai menzionato in questi giorni e giustamente», ma importante: «A Casa Immacolata di don Emilio De Roja Sgorlon dedicò idiritti d’autore di alcuni suoi libri», senza contare «gli altri mille canali di generosità» attivati dallo scrittore assieme alla moglie.
          Numerosi gli interventi al termine della celebrazione: mons. Gherbezza ha portato il saluto dell’arcivescovo Mazzocato e degli emeriti Brollo e Battisti, ma anche «la riconoscenza di tutta la Chiesa friulana » e la gratitudine per «lo spirito di libertà con cui ha arricchito tutti noi». Il sindaco Honsell ha definito Sgorlon «un gigante della letteratura italiana, ma credo anche europea»; la flautista Luisa Sello gli ha dedicato un commosso ricordo, definendolo «cantore del Friuli, madre distratta di un figlio innamorato ». Toccante il ringraziamento a tutti gli intervenuti del fratello Romano, mentre il regista Marcello De Stefano ha affermato che il successo di Sgorlon, nonostante l’ostracismo di parte della critica e il suo non essere scrittore realista e materialista, è stato dovuto, oltre che al suo grande talento, anche alla presenza dello spirito. E come dono ha avuto quello di morire il giorno di Natale.
          (S.D. - LA VITA CATTOLICA - SABATO 9 GENNAIO 2010)

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L'INTERVISTA DEL 21 NOVEMBRE
Il mistero del mondo nell'ultimo romanzo di Sgorlon   
Lo scrittore con "la Vita Cattolica" su «Ombris tal infinît».
 

UDINE (26 dicembre, ore  16.30) - Sgorlon torna alla narrativa in friulano col suo ultimo romanzo. La Filologica friulana pubblicherà il romanzo «Ombris tal infinît». Si tratta del terzo lavoro di Sgorlon in marilenghe, dopo «Prime di sere» (del 1970, pubblicato sempre dalla Filologica) e «Il Dolfin» (1982, La Panarie-Vattori).

Sgorlon, da che esigenza nasce questo suo ritorno all’uso della lingua friulana? - «Io ho scritto tanto in italiano e non sentivo l’assillo di scrivere anche in friulano. Siccome, però, si sentono tante voci sul fatto che il Friuli non ha scrittori, ho voluto dare il mio contributo. E sono contento di averlo fatto, perché è un contributo alla cultura della mia regione, un omaggio al Friuli».

Un modo per contribuire a salvare la lingua friulana? - «Devo dire che non mi pongo come salvatore della lingua. Ho scritto in friulano punto e basta. Vero è che la mia lingua madre è l’italiano: io ero figlio di una maestra e in casa mia ho parlato l’italiano fino a che avevo due anni e mezzo. Il friulano l’ho imparato più tardi in campagna, quando sono vissuto con i nonni. Per solito, le mie opere sono ricordate perché contengono i valori della civiltà friulana, però io mi occupo soprattutto di valori di natura universale e, anche se non sono di moda, se non si ritrovano nella società, nella storia, a me, per così dire, non me ne importa niente. Io ho una certa formazione etica e quella rappresento, in tutti i modi».

Che funzione ha avuto Gianni Nazzi nella stesura del romanzo? - «Lo ha letto, mi ha dato alcuni consigli di natura linguistica e lessicale, qualcuno anche di natura grammaticale, dal momento che io non sono un esperto di friulano e non mi ritengo un’autorità nel campo».

In questo romanzo, lei è riuscito ad esprimere in friulano, senza forzare la lingua, anche concetti filosofici, a partire dal tema della morte. - «È un romanzo differente dai miei altri friulani, ma anche differente dalla narrativa friulana. Perché intanto ci sono giudizi e valori universali, in secondo luogo tratto alcune realtà storiche che nei miei precedenti lavori non c’erano. Per esempio in "Prime di sere" era raccontata più che altro la civiltà contadina, mentre il "Dolfin" era una storia adolescenziale di un ragazzo che perde le illusioni e finisce per capire che la vita è un dovere pesante. Questo romanzo invece ha molti temi, a partire dalla problematica mediorientale, fino alle Brigate rosse, all’alluvione di cui si parla alla fine, che potrebbe essere quella di Latisana (anche se io non cito alcun paese), fino al tema della solitudine cosmica dell’uomo, che affiora qua e là nel romanzo».

La protagonista, Eva, ha un carattere «mercuriale » che la avvicina ad altre donne che attraversano la sua narrativa degli ultimi anni. - «Eva è una scavezzacollo che vorrebbe essere un maschio, piuttosto che una femmina, probabilmente ha anche delle capacità un po’ medianiche. Ma non è solo una specie di monello con le sottane, diventa anche una pittrice di successo che riesce ad ottenere in poco tempo quello che neppure ai maschi riesce. Sì è vero, mi sono simpatici questi tipi scatenati».

C’è anche un riferimento alle Brigate rosse. - «Si racconta la storia di uno di questi brigatisti che per fortuna non uccide, entra in clandestinità e poi riaffiora. Ad esso è legata affettivamente la protagonista e il loro rapporto affettivo resiste anche dopo il fallimento delle Brigate rosse. E nel racconto è sottolineato in maniera abbastanza consistente il carattere utopistico di questi tali che non erano dei delinquenti, ma si illudevano di poter cambiare la società totalmente, cosa che non riesce quasi mai a nessuno».

Nel romanzo si fa più volte riferimento al tema della morte, al fatto che gli uomini sono «ombris tal infinît», come dice il titolo, «vagabonds tal mâr sconfinât dal univiers», «ombris cinesis» che «a scomparivin te gnot perpetue dal no esisti plui». L’uomo è solo questo? - «È anche questo. Come dicevo prima, affiora effettivamente nel libro un senso di solitudine dell’uomo su questo piccolo pianeta che è la terra all’interno del cosmo. È un pensiero che non nasce in molti e che è stato definito nella storia della filosofia soprattutto a partire da Giordano Bruno. Io questo pensiero ce l’ho fortissimo. Ma nel libro si parla anche del mistero del mondo e si sente nei confronti di esso una sorta di sentimento religioso».

Dunque l’uomo è anche altro oltre a questa solitudine. - «Certo. Anche il senso morale per me è importantissimo. Purtoppo gli uomini non hanno molta capacità di riflessione, soprattutto nel campo del male e per solito si contentano di comportarsi come si comportano gli altri. Invece bisognerebbe con la meditazione e l’educazione staccarsi dagli altri e avere come fine il bene proprio e di chi ci circonda. Per cui a me non importa, come dicevo, niente o quasi niente di cosa fanno gli altri scrittori, di questa scelta quasi universale che i narratori hanno fatto del raccontare il male, basti pensare a "Gomorra" di Saviano che è un modello in questo senso. Io, invece, sono un seguace del bene assoluto e mi interesso solo del problema morale, perché noi uomini siamo legati a questo e di questo dovremmo occuparci».

STEFANO DAMIANI
la Vita Cattolica del 21 novembre 2009

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Udine, 29 Dicembre 2009
Parrocchia di San Quirino
Santa Messa
e onoranze funebri per Carlo Sgorlon
Cappella Musicale "Santa Cecilia" del Duomo di Udine
Direttore, Gilberto Della Negra
 

01 3.00 Campane
02 3.27 Canto d'inizio
03 3.25 Benvenuto di Mons. Claudio Como
04 1.03 Alleluia
05 8.46 Omelia di don Claudio
06 2.03 Preghiera dei fedeli
07 2.18 Canto
08 1.20 Santo è il Signore
09 1.02 Agnello di Dio
10 6.07 Fradis Miêi
11 4.03 Intervento di Mons. Giulio Gherbezza
12 4.28 ...del Sindaco Furio Honsell
13 2.01 ... di Luisa Sello
14 1.42 ... del fratello Romano
15 4.15 ... dell'amico Marcello De Stefano
16 1.21 Preghiere di commiato
17 1.57 Il Signore è il mio Pastore
18 3.59 In paradiso ti conducano gli angeli