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IL COMPLOTTO ANTIFRIULANO
SERVIZI DI ERIKA ADAMI - La Vita Cattolica SABATO 23 FEBBRAIO 2008

 Il governo Prodi, sfiduciato e in carica solo per l’ordinaria amministrazione, ha deliberato all’unanimità di impugnare davanti alla Corte costituzionale le «Norme per la tutela, valorizzazione e promozione della lingua friulana». Alla Regione la decisione di accogliere le osservazioni romane o di resistere davanti alla Corte costituzionale, verificando se la legge regionale 29 rispetti il dettato della Costituzione. Indipendentemente dall’esito dell’operazione ricucitura, le implicazioni politiche della decisione romana sono rilevanti. Qualcuno parla di «atto dovuto», molti di più – e ci riferiamo agli addetti ai lavori, ai politici – quelli che sostengono la tesi dell'inciucio tra centrodestra e centrosinistra. Magari con la legge sul friulano come «moneta di scambio». Ecco che cosa ne pensano

      IL GOVERNO RITIENE che la legge sul friulano ecceda la competenza legislativa attribuita alla Regione e che sia incostituzionale. Le implicazioni politiche della decisione romana sono rilevanti.  
     «Dietro questa bocciatura c’è anche una posizione politica, che nasce dentro le contraddizioni del centrosinistra. I contrari al provvedimento hanno agito sul governo, perché lo bocciassero», afferma il coordinatore regionale di Forza Italia, Isidoro Gottardo, che si dice contrario all’uso veicolare della lingua friulana (punto chiave della legge regionale, ma oggetto di rilievo governativo) e preoccupato dell’introduzione del bilinguismo, che «anziché agevolare i servizi pubblici, li complica ulteriormente».
     Non vuole fare «nessuna polemica» il segretario regionale del Pd, Bruno Zvech. «È stata una scelta delle maggioranze nazionali, non ci sono singole segreterie nazionali che sono intervenute». Qui in Regione, «tutti nel Pd hanno votato la legge sul friulano, ho ribadito ad Illy che non abbiamo cambiato idea. Sapevamo che aveva elementi controversi, ma abbiamo gli strumenti per trovare un’intesa con il governo o chiedere il parere della Corte costituzionale».
     Di opinione diversa Bruno Malattia, presidente dei Cittadini, che in Consiglio regionale avevano espresso diverse perplessità sulla legge, per poi «adeguarsi all’opinione del Pd locale». È «evidente che il Pd ha assunto un atteggiamento in Regione e un altro a Roma: fa parte – commenta – della dialettica di un partito che ha abbandonato l’idea del centralismo democratico, qualcuno parla di doppiezza di vecchia memoria». Quanto al da farsi, per Malattia «dire che la legge va riformata è una manifestazione di debolezza. Va difesa così come è stata varata ». Le modifiche, nel caso, si faranno «nella nuova legislatura».
     Punta il dito sulla «discrepanza tra comportamento delle forze della maggioranza in regione e a Roma» anche Giulio Lauri, segretario regionale di Rifondazione comunista (cui appartiene l’assessore Roberto Antonaz, «padre» della legge), che rileva «un problema di autorevolezza dei rappresentanti regionali del Pd e di ascolto con i ministri dello stesso partito». Altro che questione giuridica. La decisione romana ha «una forte valenza politica». È «frutto di una modifica delle posizioni, specialmente del Partito democratico, che, attraverso Maran, Violante, presidente della commissione Affari costituzionali, e altri, avevano espresso forti contrarietà sulla legge sul friulano.
     Il Pd sta pensando a grandi intese con una parte della destra moderata e anche la legge sul friulano può essere moneta di scambio». Non usa mezzi termini il segretario regionale dei Comunisti italiani, Stojan Spetic, che si dice «contrario a soluzioni pasticciate. Io mi sarei fidato di più della Corte costituzionale che, nelle sentenze degli ultimi 20 anni, ha dimostrato sensibilità nei confronti delle minoranze linguistiche maggiore di quella delle forze politiche ». Sull’ora di friulano a scuola parla di «minimo indispensabile per parlare seriamente di insegnamento del friulano».
     Condivide in toto i rilievi del Governo il coordinatore regionale di An, Roberto Menia. «Ogni realtà territoriale ha il diritto/dovere di tutelare le sue forme di espressione, ma uno dei fondamenti dell’unità nazionale è l’unità linguistica». Guai, poi, a parlare di minoranza friulana. «Non esiste». E sostenerlo «è un’aberrazione». I friulani sono «una delle tante parti dell’identità nazionale come lo sono i romani, i triestini, i napoletani ». In questa logica, se l’ora di insegnamento della lingua friulana «ci può anche stare», Menia boccia l’uso veicolare della marilenghe e il concetto di bilinguismo.
     Per quanto l’uso veicolare e l’ora curricolare «dovrebbero rientrare nella possibilità e non nella obbligatorietà», il segretario regionale dei Verdi, Gianni Pizzati, evidenzia che «i portatori di diritto, come i friulani, hanno il dovere di sollecitarci».
      «Se ci sono delle tecnicità sbagliate, il ricorso è un atto dovuto, ma se non vogliono dare lo spazio corretto alla lingua friulana, sono nettamente contraria – dice la commissaria della Lega Nord, Manuela Dal Lago –. Il friulano va insegnato nelle scuole, ma... senza imporlo ai triestini».
     Il silenzio-assenso? «Un sistema adottato per imporre delle cose, confidando sull’ignoranza della gente». E la toponomastica in marilenghe? «Un’assurdità. E chissà quanti problemi avremo con le Poste...». Alessandra Battellino, presidente di Intesa per la Regione, friulana che parla friulano, anche se «è più semplice esprimermi in italiano», ha votato contro la legge regionale ed ora condivide le obiezioni del governo. «Non andiamo molto lontano se pensiamo che il futuro sia nel friulano veicolare».
     «La legge dà a chi lo ritiene l’opportunità di apprendere il friulano – osserva Luigi Ferone, segretario regionale del Partito dei pensionati –. È un atto di civiltà e di rispetto per la gente di questo territorio, per la sua storia, per le sue tradizioni. La Regione ha piena potestà di legiferare in materia e non ha ecceduto nei suoi poteri e funzioni. Ho votato convintamente questa legge anche se non sono friulano».
 


Deputati e senatori, ecco cosa pensano 

Angelo Compagnon, deputato Udc - «La decisione del Governo è consequenziale all’arroganza e alla superficialità con le quali sono state fatte certe leggi. Si è speculato sulla lingua friulana, che va tutelata nel migliore dei modi ». Senza spiegare come, Compagnon si dice «dispiaciuto di questi fatti, che vanno a scapito della nostra regione». Parla di forzature in riferimento alla norma regionale e di «mancanza di ampia visione politica di questa maggioranza regionale ». Così, «quando non si fa lo sforzo che serve per fare sintesi di tutte le posizioni, si arriva a questi risultati». 

Giovanni Collino,  senatore An - «Ho una visione del mandato parlamentare secondo quelle che sono le norme della nostra Costituzione, in base alle quali un parlamentare rappresenta l’unità nazionale, non l’interesse del suo collegio. Viviamo in un’epoca dove, il più delle volte, la politica è partigianeria: il Governo aiuta la Regione, o non l’aiuta, in base alla bandiera politica». Andando al caso specifico, «se il Governo "amico" impugna una legge di una Regione "amica", vuol dire che gli aspetti di incostituzionalità sono oggettivi. E, allora, se gli aspetti del merito sono oggettivi, indipendentemente dalla mia idea sul concetto di minoranza, non posso che condividere l’impugnazione». 

Vanni Lenna, deputato FI - «Sono d’accordo con la decisione del Governo. La lingua friulana deve essere un momento di arricchimento culturale non obbligatorio. Ognuno deve essere libero di scegliere il proprio indirizzo, la propria formazione culturale. Sono friulano e parlo friulano. Non ho obiezioni di nessun tipo verso il friulano, ma pensare che debba essere insegnato nelle scuole obbligatoriamente mi sembra davvero troppo costrittivo». 

Renzo Tondo, deputato FI - «Il Governo fa il suo dovere, non può non impugnare la legge se ritiene che ci siano elementi di incostituzionalità». Lei condivide? «Il problema non è questo. La Giunta regionale ha voluto fare uno spot elettorale su un tema su cui bisogna fare una legge, ma l’ha fatto senza concordare, soprattutto senza verificare dov’erano i punti di difficoltà. Se dovessi assumere la presidenza della Regione, ci occuperemo di una legge sul friulano che tuteli lingua, interessi, tradizioni, ma in modo che possa passare». Includerebbe l’ora settimanale curricolare obbligatoria di lingua friulana? «Sì». E l’uso veicolare della marilenghe? «Non sono d’accordo che la matematica venga insegnata in friulano». 

Manuela Di Centa, deputata FI - «Una regione deve tutelare la propria espressione linguistica, ma senza imposizioni e senza istituire una situazione di bilinguismo, che non è rispettoso di tutti i cittadini della regione». Quanto al silenzio-assenzo, Di Centa osserva che «è brutto scrivere: "Non voglio il friulano a scuola"». Meglio allora introdurre una formula di adesione. Contraria all’uso veicolare della marilenghe, la deputata azzurra si dichiara «totalmente contraria» anche all’ora settimanale curricolare. Infine, un invito a Illy e alla maggioranza regionale. «Se ci credono davvero nella legge che hanno varato, dovrebbero resistere davanti alla Corte costituzionale, verificando fino a che punto arriva la specialità della Regione in materia linguistica» 

Ferruccio Saro, senatore Mpa - Punta il dito su «forzature che dovevano essere evitate» nella stesura della legge: «Era evidente che sarebbe scattata l’impugnazione». E con qualsiasi Governo, sottolinea. «Prenda il silenzio/assenso: impraticabile, non sarà mai approvato ». Insomma, «è stato un atto di irresponsabilità politica». Uno spot, fatto «per captare la benevolenza dei friulanisti». All’impugnazione «il Governo è stato sollecitato da più ambienti, anche del centrosinistra». E ancora: «Si faccia una legge sul friulano», ma, sull’insegnamento della marilenghe a scuola, «sono per il rispetto della libertà di decisione da parte dei genitori». 

Ivano Strizzalo, deputato Pd - L’impugnazione? «Un atto dovuto dal punto di vista tecnico, procedurale». Non è, sostiene, il caso di drammatizzare, intanto perché «non sarebbe la prima volta che una legge regionale viene impugnata dal Governo» e poi perché «c’è la massima disponibilità a trovare un’intesa da parte dei ministri Lanzillotta e Fioroni. Quand’anche il ricorso venisse depositato, la Corte costituzionale prima di un anno non si pronuncia, dunque, nel frattempo, potrebbe essere ritirato». Strizzolo esclude manovre politiche per far saltare la legge. «Si sapeva dell’esistenza di qualche punto non in linea con i principi costituzionali». In generale, «la legge è buona. Se c’è qualche punto da riformulare per evitare di correre il rischio che la Corte la bocci. Bisognerà fare uno sforzo per trovare un punto di incontro. Personalmente, sono per il friulano a scuola, ma senza imposizioni». 

Flavio Pertoldi, deputato Pd - Anche per Pertoldi, «un atto dovuto». In che senso? «Che non c’è stata una sufficiente relazione tra Governo e Regione, questa avrebbe dovuto "accompagnare" la legge e spiegarla nei punti più critici. Il provvedimento andava seguito in maniera più approfondita sotto il profilo della legittimità costituzionale». Ma i parlamentari friulani di centrosinistra non avrebbero potuto intercedere? «No,  assolutamente. Se tutto il processo che ha accompagnato la stesura del testo fosse stato partecipativo anche della rappresentanza parlamentare, probabilmente si sarebbero potuti avviare dei percorsi virtuosi di convincimento e condivisione più ampi». E, anche se «nella rappresentanza regionale parlamentare c’è stato chi, all’interno della maggioranza, ha avuto posizioni di contrarietà al provvedimento » questo «non ha inciso sull’azione governativa». 

Carlo Pegorer, senatore Pd - «Quando un governo segnala a un governo regionale l’esistenza di pregiudizi di incostituzionalità lo fa in ragione di una lettura che i propri esperti fanno del dettato costituzionale. Se alle spalle ci fosse una decisione politica, che senso avrebbe discuterne per sistemare la legge?», risponde il senatore del Pd alle voci di una manovra politica, ordita per far saltare la legge. E, sul ricorso della Regione all’impugnativa, aggiunge: «Non è meglio che la Regione resista e si vada a verificare, in sede di Corte costituzionale, quali sono i limiti stabiliti dalla Costituzione relativamente a norme che possono emanare Regioni a statuto speciale a favore della tutela delle lingue minoritarie? Io sono per tutelare, ma nel quadro costituzionale. Sono perché chi lo vuole possa studiare il friulano, ma riconoscendo agli altri la possibilità di non seguirlo».

Quarta edizione dei progetto "Visiti" di Friuli nel mondo
Scoprendo la terra dei nonni
(da Il Nuovo del 22 Dicembre 2008)

     Sono venuti qui per imparare l'italiano ma anche per scoprire i luoghi di provenienza dei propri genitori e nonni: hanno tra i 16 e i 17 anni e sono i ragazzi di origini friulane provenienti dall'America Latina protagonisti della quarta edizione del progetto 'Visiti', promosso dall'ente Friuli nel Mondo con il sostegno dell'Assessorato regionale alla Cultura.
     I giovani - che rimarranno in regione per cinque settimane, durante le quali seguiranno giornalmente le lezioni scolastiche dei coetanei che li ospitano nelle rispettive famiglie, frequenteranno corsi di lingua italiana e compiranno escursioni alle principali località d'arte della regione - sono stati ricevuti nella sede udinese di Friuli nel mondo dal Presidente Giorgio Santuz e dal Vice Pier Antonio Varutti.
     Nel prossimo luglio saranno invece i coetanei che li hanno ospitati a recarsi in Australia, nell'ottica di un interscambio che, ha dichiarato Santuz, "aiuta anche ad arricchire le esperienze personali e la diffusione della dimensione multiculturale'.

(Da Il Nuovo del 14 Dicembre 2007

A pre Toni no i coventin suazis
MAURO DELLA SCHIAVA via e-mail

     In chês zornadis passadis, o ai vût mût di poiâ il voli su di une letare scrite sul teme dai capelans militârs e il dopo pre Toni in chel di Visepente.
     Mi a parût un scrit civil e profont, parcè che pur pontant il dêt viers lis incoerencis da la "struture glesie" al a vût rispiet da la persone in cuestion, ven a stài il capelan militâr che al è vignût tal puest di pre Toni.
     Dut chest però, mi a mot un ricuârt: l'ultime predicje di pre Toni, la domenie stesse che pò al sarès muart. In che predicje al veve vut peraulis scletis e francjis a ûs lui, e al tirà in bal ancje la "letare ai capelans militârs" di don Lorenzo Milani. Li al veve pontatât il dêt viers la incoerence de glesie, lontane de paraule di Crist, masse dongje di che dal podê teren. Mi visi la ultime frase, li che al diseve "insegnait ai vuestris fîs a disubidì...!", ancje cheste une frase di don Milani.
     Don Milani, come Oscar Wilde a jerin dispès tes sôs parulis, come esempli di criticitât ative, dongje dal concet di une glesie profetiche, che e stâ da la bande dal Vanzeli e no da la bande dal podê. In glesie si veve di gjavâ il cjapiel, ma no il cjâf; che al voleve dî che no si vîf une fede dome par dogmis, pai: "parcè di sì", ma si veve di provâ a capî, a criticâ e dome insom, par cui che al crodeve, a fidâsi.
     Jo o vîf di sbris lis comunitâts che pre Toni al servive, Visepente e Vilevuarbe, ma a part cualchi vôs, che si contilis sui dêts di une man, no ai vût mût di sintînt altris che a cjapassin sù la ereditât morâl e ideâl di chest plevan che vuê al ven tant osanât par dut il Friûl.
     No crôt che pre Toni al vedi bisugne di suazis dulà meti une sô foto di bussâ, o crôt che al mertarès di jessi scoltât pa lis robis che al a vût dit: cuintri il militarisim, cuintri un sisteme di sfrutament organizât sui plui pùars dal mont, cuintri di chei che no dan dignitât a la diversitât, e a la culture e lenghe de nestre int, e a prò: di doprà il cjâf che o vin in "dotazion".
     Nancje jo no mi sint di jessi trist tai confronts dal capelan militâr che al è rivât, prime di dut al è un om, ma se al covente, ma la cjapi cu la (solite) gjerarchie, parcè che nancje chê no mi pâr che e vedi scoltât, une volte di plui, pre Toni Beline. Mi pâr scuasi un dispiet fat pa lis sôs idealitâts, a lis sôs oparis. Jo di chest no soi content. Mi pâr di sintî il consens tal fâ deventâ la so figure un "mît" che al dîs dut e noi dis nuie, no rivi adore di capî la int che lu a vût par tancj agns, cemût che e fâs a no sintîsi roseâ dentri vie, denant di chieste contradizion. Dispès pre Toni al berlave cuintri di chei che a metevin tai simitieris lis rosis di plastiche (in gambio di bêçs vêrs! al diseve). Lis ideis di chel om a son lis rosis veris, chês che a nulin, chea àn un colôr vêr, no lis sôs fotos, no lis cjacaris cence fonde su di lui. No nus covente une biografie, nus coventin ideis par podê orientasi intun mont che di lusôr a nd à pocut...

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Senza innovazione non si compete

Intervista a Nevio Di Giusto, il friulano alla guida dei centri ricerche della Fiat, che nel recente passato ha "firmato" molti dei più celebri modelli di vetture della casa torinese.

     Punto, Bravo/Brava, Cinquecento, Sporting, Gtv e Spider, Lancia K e Lancia Y... l'elenco completo delle automobili Fiat, Alfa Romeo e Lancia che portano la firma di Nevio Di Giusto è molto più lungo di questo.
     L'ingegnere friulano, che a metà degli anni Novanta era responsabile del settore Innovazione e sviluppo design di Fiat Auto, ancor oggi lavora nel grande gruppo piemontese ma, dal 2005, dirige i Centri ricerche di Torino e di Pomigliano d'Arco.
     Uomo Fiat dal 1978, Nevio Di Giusto non si è dimenticato né di Bueriis né del Friuli e non gli dispiace un confronto sull'avvenire della sua regione e sulla sua capacità di competere nel mondo dell'innovazione, anche se può ritagliarsi appena qualche minuto da un'agenda fittissima di impegni.
     "Il mio tempo è misurato all'ultimo quarto di ora e ogni secondo è d'oro - ammette, pur con un'invidiabile serenità -. In questo momento ero impegnato in una videoconferenza con i dirigenti di Elasis, da Torino a Pomigliano d'Arco. Finita la pausa e l'intervista, ultimeremo i punti ancora in sospeso".

Sarà così preso dai suoi impegni che non troverà mai il tempo per un salto in Friuli... - A dire il vero vi ritorno abbastanza di frequente. Vengo ad Amaro, al Centro ricerche Plast-Optica, che è davvero una realtà importante e vivace, e ho contatti con l'Università friulana e con l'Area di ricerca di Triste. Ma ho anche qualche parente a cui far visita. Penso che ritornerò nuovamente per Natale.

Quando ha lasciato Bueriis? - Sono partito nel 1973 e mi sono laureato in ingegneria aeronautica nel 1977, frequentando il Politecnico di Torino. L'anno seguente ero alla Fiat.

Se non si esamina il suo curriculum, sembrerebbe il classico posto fisso dei tempi andati. - In realtà ho cambiato continuamente da quando ho iniziato come responsabile di un progetto di ricerca sull'areodinamica delle automobili e come responsabile della Galleria del vento.

La sua carriera è indissolubilmente legata alle problematiche dell'innovazione, da quando progettava carrozzerie a quando si è dedicato agli interni delle vetture oppure al design dei nuovi modelli. Qua! è il segreto per saper innovare? - Senza innovazione non si è in grado di competere sui mercati, ma per fare prodotti innovativi occorre saperli fare velocemente e spendendo poco.

Un campo in cui la Fiat, appena qualche anno fa, sembrava spacciata, mentre ora eccelle. Cos'è successo? - Fiat ha saputo cambiare la sua immagine, ritornando ad essere un simbolo di successo. Marchionne ha saputo imprimere una svolta nei mercati, nei prodotti e nella promozione commerciale, concentrando gli sforzi su ciò che Fiat sa fare, cioè le macchine. Ma non ci si può illudere. Nel mondo d'oggi in un batter d'occhio i primi possono diventare ultimi.

Cosa occorre per non retrocedere? - A dire il vero è inevitabile passare attraverso crisi e momenti positivi. In certi momenti storici emergono importanti capacità, ma il difficile è mantenere fresche tali forze. Oggi come oggi, è essenziale saper cavalcare l'onda del cambiamento.

Il suo lavoro la porta da Torino a Napoli e conosce bene il Friuli. Che giudizio ricava da un confronto fra queste realtà? - Voi siete più sviluppati rispetto a Napoli, però la realtà campana è più ricca di giovani, di energia, di creatività. A loro occorrerebbero maggiori opportunità e occasioni. Del Friuli mi ricordo la stagione del terremoto e l'accelerazione che l'economia ha avuto in quel frangente. Non dovremmo mai dimenticarci l'energia e la volontà di quel tempo. Era un clima simile a quello della mia giovinezza quando c'era una grande volontà di fare, di cambiare, di migliorare. Se si perde questa tensione, è la fine.

In Fiat, ci sono altri friulani come lei? - Ne conosco altri cinque o sei. Fra noi parliamo in friulano e tutti vorrebbero ritornare.

E la comunità friulana torinese, l'ha mai potuta frequentare? - Ho frequentato raramente il Fogolâr di Torino. Oggigiorno non ne ho proprio il tempo. Una volta riuscivo a fare molte più cose: facevo aeromodellismo, fotografavo e perfino suonavo. Adesso, quando vado a Napoli (partenza alle quattro di mattina e rientro a mezzanotte) riesco a leggere in aereo, ma raramente in friulano, perché qua da noi si trova poco.

È soddisfatto della sua carriera? - I risultati ottenuti mi hanno sempre appagato e non mi sono mai dimenticato dei sacrifici fatti dalla mia famiglia per consentirmi di studiare. Ho anche sempre riconosciuto di aver ricevuto più di quanto mi sarei aspettato e ciò mi ha sempre riempito di soddisfazione.

Le è mai passato per la mente il pensiero di tornare in Friuli per lavorare? - Il lavoro che faccio mi piace. Se un domani potrò fare qualcosa di buono anche in Friuli, si vedrà. Mi piacerebbe ritornare almeno prima di morire.

Nel 2008, l'ingegner Nevio Di Giusto compirà 30 anni di lavoro alla Fiat. Ha diretto, tra l'altro, la Galleria del vento (1979-1982), la progettazione di nuovi "concepts" di architettura delle automobili (1982-1985), la progettazione delle carrozzerie della Lancia (1988-1991), il settore "Stile Fiat" (1991-1992) e il coordinamento dello stile dell'intero gruppo (1992-1994). Nel '94 è divenuto responsabile dell'ente "Innovazione e sviluppo design" di Fiat auto. Oggi è "C.e.o. and General Manager" del Centro ricerche Fiat e del Centro ricerche Elasis di Pomigliano d'Arco. Nevio Di Giusto è nato il 1° luglio 1953 a Bueriis di Magnano e vive a Cumiana, nei pressi di Torino.

La Vita Cattolica del 24 novembre 2007

La macellazione del maiale in famiglia
Un popolo di grandi norcini 

     NOVEMBRE, mese della festa del norcino ad Artegna, per celebrare una delle più antiche tradizioni friulane: la macellazione del maiale nelle vecchie famiglie contadine. Sabato 24 novembre si tiene nella sala consiliare del municipio, un convegno sulla «Tradizione norcina di Artegna quale risorsa di sviluppo compatibile nel territorio del Gemonese» a cui partecipa anche Elsa Bigai, direttore di Coldiretti del Friuli-Venezia Giulia.
     Il norcino è la figura centrale nella lavorazione del maiale perché, un tempo, durante i lunghi e rigidi mesi invernali, la carne di maiale risultava prezioso alimento per l’organismo per tutta la famiglia.  
     Chi trasformava la carne suina in pregiati salumi era un artigiano depositario di un’arte tramandata da generazioni. Oggi l’artigianato si è trasformato, con l’introduzione di nuove tecnologie nella lavorazione delle carni, ma senza perdere l’antica arte. È cambiata l’alimentazione dei suini e  si sono modificate anche le tecniche di lavorazione delle carni, laboratori modernamente attrezzati, metodi produttivi efficienti ed avanzati, ma molte lavorazioni sono ancora eseguite a mano, le macchine anche se perfette non possono sostituire l’esperienza degli uomini e la tradizione.
     Per ottenere salumi di qualità, come quelli realizzati con suini italiani, è di fondamentale importanza la cura di tutte le fasi di produzione ad iniziare dall’allevamento. Solo così si possono ottenere materie prime eccellenti adatte alla preparazione di ottimi salumi. Per ottenere maiali di qualità l’industria salumiera italiana pone una costante attenzione ai metodi di allevamento utilizzati. I maiali sono alimentati con mais, soia, frumento ed altri vegetali attentamente selezionati e calibrati. Nella dieta del maiale entra anche il siero di latte, un prezioso sottoprodotto derivato dalla lavorazione del formaggio.
     Questo tipo di alimentazione ha permesso di modificare la composizione delle carni suine e di offrire carni in linea con le nuove esigenze nutrizionali.
     Coldiretti è impegnata ad offrire al consumatore garanzie di tracciabilità, di origine e di salubrità dei prodotti agro-alimentari, e quindi chiede che sia obbligatorio, per la carne di maiale e i suoi lavorati, come i salumi, indicare l’origine in etichetta come avviene per la carne di pollo e quella bovina. Il consumatore spesso è disorientato o ingannato nelle scelte alimentari perché non riesce a individuare il prodotto made in Italy: sugli scaffali dei supermercati si stima che ben due prosciutti su tre provengano da maiali allevati all’estero, senza che questo venga chiaramente indicato in etichetta.
 


CUCINA TRADIZIONALE
Musèt che leccornia

     SI UTILIZZA LA CARNE DELLA TESTA del maiale, la carne del sottogola e la cotica, tutta la carne con i tendini (attacchi dei muscoli), tutte le rifiniture delle ossa (la carne attaccata alle ossa). Le cotiche sono tagliate a strisce abbastanza sottili, sono macinate prima con una trafila grossa e poi si fa un secondo passaggio con trafila sottile in cui si mette insieme la carne e la cotica.
     Per la preparazione dell’impasto, la carne e le cotiche macinate due volte sono «condite », per ogni kg di impasto, con 25 g. di sale, 2-5 g. di pepe, cannella e spezie. Una variante è realizzata con l’aggiunta all’impasto di circa un litro di vino rosso robusto in cui sono stati lasciati macerare 5 o 6 spicchi d’aglio schiacciato. Tutto l’impasto va ben mescolato e amalgamato, in modo che risulti uniforme. Poi il cotechino viene insaccato con un budello che viene forato in modo che perda un po’ di liquido. Il cotechino può durare 1 o 2 settimane. Per la sua cottura, prima di metterlo a bollire va ben forato, altrimenti si può rompere. Si mette in una pentola, si copre con acqua fredda si porta ad ebollizione, lo si fa andare a fiamma bassa per circa un’ora. Si serve ancora caldo, tagliato a fette non troppo sottili, si accompagna con la polenta e come verdura si possono utilizzare le verze, broccoli e la brovada.
 

Muset su letto di verza stufata - Ingredienti per 4 persone: 2 cotechini, 1 verza di media grandezza, pancetta affumicata, speck, formaggio latteria, pasta sfoglia, vino bianco, cipolla, olio extra vergine d’oliva, sale, pepe.
     Preparazione. Forare i cotechini e porli in una pentola colma di acqua fredda. Lasciarli cuocere per circa 2 ore. Quindi scolarli e lasciarli raffreddare. Curare, lavare e sbollentare la verza, poi lasciarla raffreddare. Avvolgere i cotechini con fettine di formaggio latteria, speck e foglie di verza precedentemente cotte. A parte stendere la pasta sfoglia e su di essa adagiare i muset così preparati e chiudere il tutto a mo’ di fagottino. Con la rimanenza nella verza tagliata grossolanamente, mettere a soffriggere una cipolla tagliata a julienne e qualche cubetto di pancetta. Aggiungere in cucchiaio d’olio d’oliva extravergine e un bicchiere di vino bianco. Sale e pepe quanto basta.
     Cucinare a fuoco lento per circa 1 ora e mezza. Servire il cotechino tagliato a rondelle su letto di verza stufata. Vino consigliato: Refosco friulano.
 


Carne suina.
Fonte di proteine di alta qualità biologica

LA CARNE SUINA è una buona fonte di proteine – circa 20 grammi per 100 g di carne – che tra l’altro sono di alta qualità biologica. Ha un buon contenuto vitamina B1, vitamina B2, niacina, vitamina B6, vitamina D e B12. È presente anche un buon contenuto in minerali come ferro, zinco, rame, selenio, presenti in una forma chimica ben utilizzabile. Il contenuto in ferro è più basso che nella carne bovina. Il contenuto in lipidi totali varia molto a seconda del taglio, dal 3% nel coscio all’8% nella bistecca (considerando sempre il suino leggero). Le caratteristiche sensoriali più rilevanti per quanto riguarda le carni fresche per il consumo diretto sono il colore, la perdita di liquidi e le infiltrazioni di grasso. 

Salumi e insaccati - I salumi in base alle parti usate e al tipo di lavorazione, si dividono in due categorie: gli insaccati e i prodotti salati. Gli insaccati contengono carne e grasso di suino più o meno finemente macinati e con eventuali aggiunte di carni di altra specie, salati o conditi con droghe. Essi si dividono a loro volta in insaccati freschi, stagionati o cotti. Le carni provengono dal tessuto muscolare del dorso, dei lombi e delle spalle del maiale, privati dei nervi e delle cartilagini. I prodotti salati derivano dalla lavorazione di pezzi interi dell’animale. Il procedimento di salatura si basa su un complesso di azioni dovute essenzialmente ai trattamenti di aggiunta di sale, essiccazione, aromatizzazione e stagionatura. Tra le varie carni, quella suina si presta meglio a essere conservata con sale. 

Prodotti Dop e Igp - I salumi sono una categoria estremamente importante di prodotti a base di carni suine per i quali si ha in Italia una ricchezza di tipologie incredibilmente vasta, dai prodotti industriali a quelli di nicchia, dai prodotti che hanno ottenuto il riconoscimento di Dop (Denominazione di origine protetta) o di Igp (Indicazione geografica protetta) a quelli riconosciuti come prodotti tradizionali. Comprendono prodotti crudi o cotti, interi a pezzi o macinati e insaccati. La sigla Dop estende la tutela del marchio italiano Doc a tutto il territorio europeo. Il marchio designa un prodotto originario di una regione e di un paese la cui qualità e caratteristiche siano essenzialmente o esclusivamente dovute all’ambiente geografico (termine che comprende i fattori naturali e quelli umani). Tutta la produzione, la trasformazione e l’elaborazione del prodotto devono avvenire nell’area delimitata. La sigla Igp introduce un nuovo livello di tutela qualitativa che tiene conto dello sviluppo industriale del settore, dando più peso alle tecniche di produzione rispetto al vincolo territoriale. Quindi la sigla identifica un prodotto originario di una regione e di un paese le cui qualità reputazione e caratteristiche si possono ricondurre all’origine geografica, e di cui almeno una fase della produzione e/o trasformazione e/o elaborazione avvenga nell’area delimitata. Entrambi questi riconoscimenti comunitari costituiscono quindi una valida garanzia per il consumatore.  

Specialità regionali - Tra i prodotti tradizionali realizzati con carni suine in Friuli-Venezia Giulia ci sono specialità come Argjel , Bondiola, Cicines, Coppa di testa, Crafus, Filon, insaccati affumicati, Lardo, Linguâl, Lujànie, Marcundela, Muset, Ossocollo e culatello affumicati, Pancetta arrotolata dolce e affumicata, Pancetta arrotolata manicata, Pancetta con lonza, Pancetta stesa, lardo, guanciale, Pestadice, Pestât, Polmonarie, Porcaloca, Prosciutto cotto Praga, Prosciutto dolce o affumicato. Molti di questi prodotti tradizionali sono realizzati solo grazie a lavorazioni artigianali, in piccoli laboratori di trasformazione legati alle aziende agricole. Il consumatore li può reperire solo nei punti di vendita diretti presenti presso le stesse aziende che li producono.