nuove dal friuli e dal mondo

Pordenone, 8 Febbraio 2008
Saletta dell'Ortoteatro
http://www.ortoteatro.it/

Partire per terre lontane
CANTI E STORIE DEI NOSTRI EMIGRANTI

     "Partire per terre lontane" è il titolo della serata svoltasi nella saletta dell'Ortoteatro di viale Trento 3, a Pordenone. Si è trattato di una lettura/spettacolo dedicata alle storie dei nostri emigranti, alle loro difficoltà e conquiste.


     In scena Fabio Scaramucci e Galeazzo Botner, accompagnati dalla musica dal vivo di Fabio Mazza alla tastiera e Mario Scaramucci alla fisarmonica, che hanno riproposto le storie di grandi uomini come Giacomo Ceconi di Pielungo, cresciuto analfabeta, che progettò e costruì con la sua ditta lo scavo della galleria dell'Arlberg nel 1879 diventando conte dell'impero asburgico e storie di migliaia di sconosciuti, dal centinaio di operai di Clauzetto che tra il 1891 e il 1906 costruirono in Russia la ferrovia Transiberiana, a chi, agli inizi del '900 si imbarcava per l'America del Nord o per l'Argentina, pieno di sogni e di aspettative.


...Fabio Scaramucci e Galeazzo Botner...


...il pubblico nella saletta dell'Ortoteatro...

 

PARTIRE PER TERRE LONTANE
...estratti in testo e audio ripresi durante la serata...

IL CONTE GIACOMO CECONI   
     Nacque a Pielungo il 29 settembre 1833 da Angelo e Maddalena Guerra. Crebbe analfabeta, come tutti i coetanei della sua generazione, e delle successive quasi fino allo scoppio del primo conflitto mondiale. A Giacomo Ceconi, come a tanti altri giovani, restava aperta, e in certo senso obbligatoria, soltanto la via dell'emigrazione che intraprese, a diciotto anni, raggiungendo Trieste dove molte erano la prospettive di lavoro, di apprendere un mestiere e di fare qualche risparmio per aiutare la famiglia rimasta rinchiusa fra i monti.
     La Trieste di quel tempo aveva ormai raggiunto uno sviluppo sociale, economico, culturale ed urbanistico veramente impressionante. Il giovane Giacomo venne così a trovarsi in un mondo inaspettatamente nuovo ed aperto alle più promettenti prospettive di sviluppo.
     Facendo il manovale, alle dipendenze di una delle molte imprese di costruzioni impegnate nella città in quegli anni, quale era quella dei fratelli Martina di Chiusaforte, lavorando intensamente per dieci o dodici ore al giorno, il giovane diciottenne rivolse subito la propria attenzione verso la scelta di una scuola serale. che gli aprisse immediatamente la possibilità di leggere, di scrivere, di far di conto e di apprendere i primi elementi del disegno geometrico.
     Rinunciando decisamente ad ogni genere di svago, abbastanza comune ed attraente per la sua età, limitando al massimo le spese necessarie al nutrimento e all'abitazione, egli voleva inoltrarsi subito sulla via del sapere e soprattutto del capire qualche cosa nel campo della più elementare lettura dei più modesti progetti delle costruzioni stradali e murarie. Il passo dal manovale al muratore fu molto breve. Entro lo spazio di pochissimi anni, riuscì perciò a procurarsi stima da parte dei primi padroni, che gli affidarono presto anche incarichi di fiducia.
     Fin dal 1857 iniziò così ad assumere esecuzioni di opere indipendenti e per proprio conto, con una squadra di compaesani, sulla ferrovia in costruzione fra Klagenfurt e Marburg in Austria.
     Si diresse rapidamente ad affrontare incarichi di lavoro sempre più impegnativi, tanto che nel 1865 era completamente autonomo, titolare di un'impresa propria in grado di eseguire costruzioni nel campo dell’ingegneria civile, specialmente stradale e ferroviaria.
     Dal 1866 al 1868 lavora lungo la grande linea ferroviaria progettata da Luigi Negrelli, fra Verona e il Tirolo settentrionale.
     L’opera con cui il Ceconi raggiunse il punto più elevato dei suoi successi e della sua gloria fu la costruzione della ferrovia e lo scavo della galleria dell’Arlberg, che servirono ad unire Innsbruch a Landeck e Bludenz verso la Svizzera. La progettazione cominciò nel 1879.
     L'aggiudicazione delle opere in favore delle imprese riunite Giacomo Ceconi e Fratelli Lapp per la parte occidentale e al solo Giacomo Ceconi per la parte orientale fu sottoscritta il 23 dicembre 1880.
Non mancarono fino alla vigilia dell'abbattimento del diaframma che separava le due parti dei più di dieci chilometri componenti l’intero traforo, le voci maligne di qualche pubblicista pronto a prevedere…
…errori di orientamento e di altitudine dei due tronconi, tali da compromettere la felice conclusione della colossale impresa.
     Alla fine scoppiò all’unisono l’esaltante notizia del perfetto congiungimento delle due parti: la differenza di livello era inferiore ad un centimetro, mentre era di 14 millimetri lo spostamento fra le due pareti verticali del traforo!
     Con un anticipo di oltre tredici mesi sul termine contrattuale, la gigantesca costruzione, che rappresentava per quei tempi una delle più ardite di tutta l’Europa, poteva essere presentata al collaudo definitivo dai tecnici e dai dirigenti responsabili il 14 maggio 1884.
     L'imperatore Francesco Giuseppe, con proprio decreto del 12 maggio 1885 concedeva a Giacomo Ceconi il titolo di Nobile di Montececon, aprendogli le porte d'ingresso al ceto dei patrizi del grande impero mitteleuropeo ...


EMIGRANTI DI CLAUZETTO IN SIBERIA
  
     La costruzione della ferrovia Transiberiana fu voluta e deliberata dallo Zar Alessandro III il 17 marzo 1891 ed i lavori, sul ramo principale, durarono dal 1891 al 1906. Da Mosca a Vladivostock è lunga 9.434 chilometri e supera montagne, dirupi, acquitrini e fiumi imponenti.
     Il primo italiano venuto a costruire ferrovie in Siberia nel 1893 fu Pietro Brovedani di Clauzetto, allorché la costruzione della Transiberiana, pervenuta nel suo insieme fino a Omsk, procedeva verso Tomsk. Per mezzo di un suo compaesano, Domenico Indri, fece venire da Clauzetto nel 1894, trentaquattro operai... e un altro gruppo di un centinaio sopravvenne quando la linea procedeva verso Irkutsk.
     Tra i primi a partire da Pradis fu Zannier Bonaventura fu Francesco (Locandin) che si mise in viaggio nel 1895… "un po' prima che io nascessi"… mi precisava il figlio, pure lui Bonaventura, classe di ferro 1896, deceduto nel 1991 a Spilimbergo.
     "Come ha già ricordato mio fratello Umberto , mio padre diceva di aver lasciato scolpite le sue iniziali BZ sul pilone di un viadotto.
     In quegli anni andare in Russia era quasi una norma. Partivano muratori, tagliapietre, scalpellini, carpentieri e fabbri. Operai di Clauzetto e Pradis, con altri di Forgaria e Artegna costruirono principalmente ferrovia e manufatti lungo la grande ansa meridionale del grande lago Baikal e l’aggettivo "grande" quando si parla della Russia non ammette sottintesi: infatti questa ansa è lunga circa 250 km e il Baikal ha una superficie di 31.500 kmq. come dire la Lombardia e il Friuli Venezia Giulia messi insieme.
     Mio padre, racconta Bonaventura, assieme con i suoi compagni, stette 40 giorni per arrivare sul posto di lavoro, viaggiando in treno, in barca, in slitta e a piedi. Con loro avevano gli indumenti tessuti dalle donne di casa e gli attrezzi del loro mestiere, soprattutto scalpelli. Il peggior nemico era il freddo d'inverno e le zanzare d'estate.
E poi la polvere della pietra scheggiata, che ristagnava all'interno delle baracche, produceva la silicosi. Per cui tenevano un samovar sempre in funzione per bere the caldo con cui scaldarsi lo stomaco e sciacquare la polvere.
     Lavoravano sulla linea ferrata durante l'inverno, perché durante l'estate si costruivano i piloni dei ponti che attraversavano i corsi d'acqua: lo facevano, i nostri operai, usando cassoni ad aria compressa; poi quando i fiumi, appunto durante l'inverno, gelavano, e il ghiaccio raggiungeva uno spessore di oltre un metro, approfittavano della solidità del ghiaccio stesso usandolo come base dell'impalcatura.
     Infatti essendo i piloni fuori dall'acqua, montavano le centine in legno e costruivano le volte in pietra da un pilone all'altro.
     Durante l’inverno, per combattere la temperatura rigida, che nessuno avrebbe sopportato lavorando all’esterno, e avrebbe gelato la calce, trascinavano con i cavalli numerosi tronchi ad una distanza di 15/20 metri dal luogo di lavoro. Quindi ne facevano grandi cataste, a monte e a valle, che poi incendiavano.
     Così il fuoco, ardendo in continuazione, permetteva agli uomini di lavorare sempre a una temperatura sopportabile. Il disgelo arrivava con l'estate, ma ormai gli archi erano stati ultimati e il ponte era costruito.



IN VIAGGIO PER L’AMERICA
  
     Ritornai da Barcola poco prima dell'orario di partenza, salii a bordo e naturalmente andai in cerca della mia roba e dopo una lunga ricerca mi fu detto che non era a bordo e che per errore poteva essere stata caricata sul "Vulcania", ormai salpato.
     Mi dissero di non preoccuparmi, che avrebbero spedito un marconigramma al "Vulcania" e che avrei trovato le mie valigie a Napoli. Di nuovo altri cinque giorni di mal di mare; giorni resi ancora peggiori dal pensiero di non essere stato abbastanza attento, e di aver perso un vestito e due camicie nuove, e tutto quello che mia madre mi aveva comprato, facendo debiti. È vero che potevo ripagarla una volta arrivato in America, ma per ora mi sentivo un fallimento, e non ero ancora arrivato a Napoli!
      Anche mio padre aveva avuto una brutta esperienza nel suo primo viaggio, ma non era stata colpa sua; e poi io allora avevo cinque-sei anni di più, avevo quindi maggiore esperienza, e questo mi dava un senso di colpa.
     Una volta arrivati a Napoli, subito dopo il pasto di mezzogiorno (con un gruppo di emigranti del nord-Italia, della Jugoslavia e della Grecia) fui portato al Consolato americano.
     Questa volta quando venne il mio turno, andai in una stanza diversa da quella in cui mi avevano portato la prima volta, con un interprete che mi disse di avere i miei documenti e mi chiese il passaporto. Osservai la bandiera americana dietro una grande scrivania alla quale stava seduto un signore dai capelli grigi.
     L'interprete parlò in inglese e disse il mio nome, il signore mi sorrise e mi fece un cenno invitandomi a sedere di fronte a lui, mentre continuava a parlare all'interprete. Io aspettavo il peggio, e rispondevo alle loro domande.
     L'interprete mi chiese la data di nascita e notai una espressione corrucciata e pensosa sulla faccia del signore.
     Quando poi l'interprete mi disse che non potevo partire, quasi morii una seconda volta, e allora velocemente gli chiesi di spiegare che io ero nato alle otto di mattina e che pertanto, essendo ora tardo pomeriggio, avevo già compiuto i sedici anni. Egli ripeté quello che avevo detto e tutti e due si misero a ridere. Ma io non potevo ridere, ero lì in attesa e mi sentivo soffocare.
     Fui presto sollevato da quel peso, quando mi parve di capire da una espressione del signore che sembrava dicesse: questo merita il visto, glielo dia. L'interprete mi consegnò il tutto e, sorridendo anche lui, mi augurò buona fortuna in America e mi accompagnò fuori dalla più bella stanza che avessi mai visto. Mi profusi in tanti ringraziamenti sperando che potesse capire quanto gli ero grato.



IN ARGENTINA
  
     Il 19 ottobre 1876 il Congresso di Buenos Aires approvava una legge, nota in Italia come legge di immigrazione e colonizzazione della Repubblica Argentina.
     Tra l'altro, questa legge disponeva (capitolo II, articolo 4) che il potere esecutivo poteva nominare agenti speciali in tutti i punti d'Europa o d'America, con incarico di promuovere l'immigrazione.
     Dovere degli agenti: «Fare una propaganda continua a favore dell'immigrazione, facendo conoscere le condizioni favorevoli, ecc.». «Vi sono adunque - così scriveva nel 1878 il "Bullettino dell'Associazione agraria friulana" - degli agenti stipendiati per promuovere questa immigrazione, e fra questi è naturalmente da considerarsi il console dell'Argentina residente in Genova».
     Questi era Vincenzo Picasso fu Michele, che risiedeva appunto in Genova, via Serra n. 6.
     Il testo della legge di immigrazione e colonizzazione venne in un primo tempo conosciuto in Friuli attraverso la diffusione di un opuscolo stampato a cura della casa di spedizioni marittime Poli e Caruggio di Genova.
     Nel 1878, edito a Udine dalla tipografia Zavagna per conto dell'agenzia marittima di Giacomo Modesti, che era stata legalmente autorizzata a svolgere la propria attività con decreto prefettizio 1° aprile di quell'anno, venne diffuso un altro opuscolo intitolato «Legge d'immigrazione e colonizzazione della Repubblica Argentina».

LETTERA
     Rosario, lì 14 maggio 1878 - Preg. sig. Luigi Zinutti, Udine
     Vi confermo la mia 30 aprile da Buenos Aires, colla quale vi autorizzavo a vendere i miei fondi e stabili, per spedirmi lire 700 in oro, e ritengo non mi mancate.
     Siamo stati nella provincia di Cordova per trovar lavoro, ma fu tanto inganno: or sono 8 giorni che camminiamo per ritornare a Buenos-Aires: siamo ridotti senza un soldo: andiamo questuando, ma in certi posti anche la limosina ci manca, essendo gente rozza.
     Durante questo viaggio, dobbiamo dormire per terra a cielo scoperto; e se a Buenos-Aires non troveremo il denaro per rimpatriare, dovremo soccombere colla vita.
     Maledetta America con tutti i Agenti di emigrazione, e prego Cristo che ai suddetti toccassero le possibili scene che dobbiamo sopportar noi.
     Per me la battaglia di Roma del 1870 fu un paradiso in confronto dei patimenti, che mi tocca soffrire in questa circostanza, e ben volentieri mi contenterei rientrare nel servizio militare sotto la bandiera italiana per tutta la vita, piuttosto che morire di fame in queste terre selvatiche.
     Vi scongiuro per carità a non abbandonarmi in queste miserie a che siamo ridotti. Con vera stima vi riverisco, Vostro aff. servo Angelo Candoni


LETTERA  

     Gaspare Ursella era nato nel 1913 da una famiglia contadina. Era originario di San Floreano di Buia ed emigrò in Argentina, a Resistencia, nel 1932 perché voleva diventare ricco. Scrisse la prima lettera ai familiari dopo 18 anni dalla partenza, nel 1950
     Resistencia, 28 agosto 1950 - Caro papà, dopo parecchi anni riceverete notizie mie. Io mi domando come ho potuto stare tanti anni senza scrivervi, non ci ho nessuna scusa. Solo posso dirvi che s'incomincia dicendo oggi non ho voglia di scrivere lo farò domani, e così si lascia passare i giorni i mesi e dopo gli anni.
     Io di salute (sto) bene caro babbo così desidero sia pure di voi dei miei fratelli e sorelle e tutta la parentela.
     Al finir(si) (del)la guerra non vi ho scritto subito perché volevo mandarvi un poco di denaro. Però come vedevo le cose tanto incerte, ho voluto aspettare un tempo, e adesso le cose non (h)anno migliorato niente. Per poter mandarvi duecento cinquanta pezzi (pesos) per mese, ho dovuto chiedere il permesso al governo argentino, e non permettono di più. Così io adesso vi manderò tutti i mesi almeno questa somma. Bene caro papà, al ricevere vi prego di scrivermi subito facendomi sapere di tutti là. Affettuosi saluti,  vostro figlio Gaspare.