nuove dal friuli e dal mondo

Friuli, Epifania 2007

Per alcuni giorni che precedevano l'Epifania la stampa locale aveva riempito pagine intere con articoli dedicati agli avvenimenti che si stavano preparando in varie località del Friuli, ed altrettante sono apparse anche dopo, quando le ceneri dei vari pignarui, foghere e fugarisse avevano ancora le ceneri fumanti. Contattando direttamente con qualche amico lontano che manca da tantissimi anni dal Friuli, ho capito che non tutti si rendono conto esattamente di quello che accade all'Epifania nella loro terra di origine e che cosa è cambiato rispetto elle immagini dei loro ricordi. Riporterò quindi dei brevi e articoli apparso sui nostri giornali, corredandoli con qualche foto catturata personalmente e da qualche amico che casualmente ne è stato testimone diretto. Per quanto riguarda i testi, ho utilizzato tre esaurienti articoli di Erika Adami apparsi su La Vita Cattolica.


I lavori di preparazione delle "fugarisse" a Selvis e Orzano di Remanzacco...


...una "fugarissa" o falò, è un evento difficilmente documentabile e va vissuto in tempo reale...
...a me ricorda i spensierati momenti della nostra infanzia, vissuti sulle rive del Natisone...

Il "fûc" accende il paesaggio friulano
(Servizi a cura di Erika Adami - La Vita Cattolica del 6 Gennaio 2007)

La cultura contadina tradizionale è scomparsa, ma i falò continuano ad essere accesi. Felli: «Sono percepiti come fortemente identitari. Significano la compattezza della comunità attorno a un codice comune»

     IN FRIULI-VENEZIA GIULIA, nei giorni dell’Epifania, rivivono antichi riti in cui si fondono tradizioni pagane e cristiane. Il fuoco, dal mare alle montagne, è protagonista. Elemento rituale, arde in molte località e accende il paesaggio con le luci di piccoli e grandi falò. La tradizione delle pire di fuoco ha origini antichissime, pare celtiche.
     Senz’altro «precristiane», conferma Veronica Felli, dottoranda in Antropologia culturale all’Università di Udine e presidente dell’Areas, Associazione di ricerche etno-antropologichesociali: «È la cultura contadina ad aver prodotto i fuochi rituali, che si collocavano in un momento dell’anno critico, in cui si chiude un tempo vecchio e si dà il via a uno nuovo. Queste cesure temporali erano considerate, da una parte, pericolose, perché esponevano la comunità ai rischi del nuovo, dall’altra, propiziatrici».
     L’accensione delle pire era un rito che allontanava gli influssi malefici invocando la benevolenza delle divinità. Il cristianesimo fa sua questa tradizione. Ancor oggi alla vigilia dell’Epifania vengono accesi i «pignarûi», grandi falò propiziatori dalle denominazioni diverse in base all’elemento che del rito si vuole accentuare: quando si dà importanza al fuoco si parla di «foghera», «fogarissa», quando il nome dipende dalla forma del falò ecco allora «baraca», «cabossa », «casera», «casote», se dipende dal materiale di combustione, si ha il «paiarili» o la «fueade». Mentre le pire bruciano, in base all’orientamento di fumo e faville, si traggono previsioni sul nuovo anno. Attorno, la gente mangia la tradizionale pinza (una focaccina con farina di mais, pinoli, fichi secchi e uvetta: la frutta secca, sinonimo di abbondanza, ne fa un cibo propiziatorio), bevendo vin brulé.
     L’accensione dei «pignarûi» è diffusa in tutta la regione esclusa la parte orientale, più interessata dai fuochi estivi di San Giovanni, e la Carnia, che non li conosce se non sotto forma dei falò della «femenate», come nella zona di Paularo: i coscritti preparano un traliccio, che viene riempito di materiale combustibile molto leggero, perché dev’essere sospeso. Sulla sommità, una gerla capovolta o una figura antropomorfa femminile. Importanti «la velocità di combustione e il vaticinio sulla direzione delle faville, non su quella del fumo, interpretata invece nei pignarûi», spiega Felli.
     Le «formule», che anticamente invocavano abbondanza, caratterizzano le «cidulas» o «cidulis » (rotelle infuocate di piccole dimensioni, accompagnate da accoppiamenti augurali, che i coscritti lanciano in Carnia e Canal del Ferro in diverse occasioni dell’anno). «Il primo lancio è dedicato al patrono o patrona del paese. Le successive "cidulis" sono dedicate alla classe di coscritti che ha organizzato il lancio e alle coppie di fidanzati del paese, quelle ufficiali e poi quelle "clandestine", con la formula “in onôr”, “par onôr“, “in favôr” seguita dal nome della persona ». Le origini dei dischi di legno arroventati andrebbero ricercate nell’area tedesca del decimo secolo, con la successiva mediazione delle popolazioni slovene. Si chiamano anche «scaletis » (a Moggio, Chiusaforte, Pontebba), «sturletis» (a Dordolla), «rochetis» (a Venzone), «pirulas » (a Paularo), «sciba» (a Camporosso). Diversi, da località a località, il tipo di legno, la forma, la tecnica di lancio.
     Il fuoco è, dunque, il vero protagonista dell’Epifania. «Consentiva anche la propagazione del benessere alla comunità tutta». È il caso del «pignarûl»: «Spesso i tizzoni venivano portati dai bambini, di corsa, attraverso i campi, lo facevano ripetendo formule beneauguranti. La cenere del falò cosparsa nei campi, nelle stalle o in punti particolari delle abitazioni si riteneva portasse bene e garantisse un buon anno. E i carboni servivano per riaccendere il fuoco nuovo nelle case». In tal modo «si estendeva la benedizione dalla comunità, che aveva partecipato all’elaborazione del fuoco, al territorio della stessa».
     Rispetto al passato i riti invernali hanno perso la componente della questua. «I fuochi venivano allestiti per lo più da gruppi di bambini e ragazzini, che andavano di casa in casa a chiedere la legna per il fuoco, dando in cambio un buon augurio per l’anno nuovo. La questua era una forma di ridistribuzione del bene e serviva a ricompattare la comunità, aveva un valore sociale fortissimo».
     Eppure, «pur essendo cambiati gli attori del rito, la tradizione continua con una certa forza». La cultura contadina tradizionale in Friuli è scomparsa, ma i fuochi rituali continuano ad essere accesi. Perché? «Sono percepiti come fortemente identitari – risponde Felli –. Significano la compattezza della comunità attorno a un codice comune. E aggreganti, tanto che il fuoco del falò epifanico è stato utilizzato più volte in tempi recenti allo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica o per rendere noti problemi e temi sociali, per esempio per protestare contro le discariche».
 

     Festa di «pignarûi» e «cidulas»
     Il falò più suggestivo è il «Pignarûl grant» di Tarcento, che arde su un’altura, tra le rovine del «cjscjelat». All’imbrunire del 6 gennaio (la giornata si apre, alle 11, con la Messa solenne nel Duomo), dalle 17.15, un corteo di centinaia di figuranti in costume medievale percorre le strade del paese fino ai piedi del Colle di Coia, dove, alle 19, il Vecchio venerando accende il rogo. Altri e più piccoli falò brillano nelle frazioni vicine della conca tarcentina, punteggiando la notte. Ad anticipare la festa, venerdì 5, alle 19, i rappresentanti delle borgate, i pignarûlars, muniti di fiaccola, partecipano alla spettacolare corsa con i carri infuocati per conquistare l’ambito palio.
     Ad illuminare la notte di Paularo è, il 5 gennaio, alle 17, la fiamma di un’altra grande pira detta «Falò della femenate». In questo caso si osserva la direzione presa dalle scintille per predire l’andamento dell’anno. La «femenate» è una vecchia padrona di casa alla quale, con diverse filastrocche, viene chiesta un po’ di farina e cibo in cambio del fuoco propiziatorio. Sempre alla Carnia e all’Epifania è legata la tradizione delle «cidulas». A Comeglians (sabato 6 gennaio, dalle 17) i giovani lanciano dalla cima di alture delle rotelle di legno infuocate, che illuminano la notte con imprevedibili traiettorie. Frasi beneauguranti, legate soprattutto all’amore, accompagnano il volo.
     Fuochi epifanici anche a Orzano (il 6 gennaio, alle 20) con la «fugarele»; a Udine, alla Casa dell’Immacolata (il 6 gennaio, alle 19); a San Vito al Tagliamento, a Sesto al Reghena e Cordenons, dove sulla cima del falò viene posto un fantoccio con le fattezze di strega.

      Cerimonie religiose e rievocazioni storiche
     IL 6 GENNAIO antiche cerimonie religiose di grande suggestione riportano alla luce gesti e riti le cui origini si perdono nella notte dei tempi. Particolarmente significativa è la Messa dello Spadone di Cividale, che sarà celebrata alle 10.30 nel Duomo. Seguirà, alle 11.30, una spettacolare rievocazione storica in costume con centinaia di figuranti, che per tutta la giornata riporterà Cividale ai fasti medievali.
     La capitale longobarda, il giorno dell’Epifania, ospita, infatti, la rievocazione della solenne investitura del patriarca Marquardo Von Randeck, avvenuta il 6 luglio 1366. Il diacono di Cividale con il capo coperto da un elmo piumato stringe in una mano la spada (quella originale, offerta dai cividalesi al patriarca in occasione del suo ingresso nella città ducale) e nell’altra un prezioso Evangeliario del XII secolo. Benedetta la folla ribadisce il doppio potere, temporale e spirituale.
     Anche a
Gemona il 6 gennaio si ripete una sentita cerimonia religiosa: la Messa del Tallero, preceduta e seguita da un corteo storico in costume. La tradizionale Epifania del Tallero inizia alle 9.45, quando il centro storico della città pedemontana inizierà ad animarsi al suono dei tamburi che saluteranno l’arrivo delle dame e dei cavalieri sotto la loggia di palazzo Boton. Verso le 10.15 il corteo storico accompagnerà il sindaco Gabriele Marini lungo via Bini fino al Duomo di Santa Maria Assunta per la celebrazione della Messa del Tallero. Durante la sacra rappresentazione, che affonda le sue radici nel medioevo, il primo cittadino di Gemona, nelle vesti di Capitano del popolo, consegnerà un tallero d’argento di Maria Teresa d’Austria all’arciprete, mons. Gastone Candusso, a nome dell’intera comunità: anche in questo caso la sottomissione del potere temporale a quello spirituale. La presentazione del tallero presso la loggia di palazzo Boton, il saluto ai gonfaloni delle delegazioni ospiti, l’animazione medioevale che anticipa e chiude il cerimoniale richiamano ogni anno moltissimi visitatori.
     E a
Stolvizza di Resia il 6 gennaio, alle 16.30, è in programma la rappresentazione della discesa della stella cometa dal Püsti Özd alla parte più alta del paese. All’arrivo della stella si animerà un presepe vivente tra giochi d’acqua e dolci musiche.

Tranne le due in alto, le foto che si riferiscono alle rievocazione storica di Cividale del 6 Gennaio, sono riprese da Devis Macor (con il telefonino) e da Jenko (Giovanni Paoloni),