.Stazione Topolò
 

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  Stazione Topolò-Postaja Topolove è una rassegna d’arte ma è anche molto altro. Alle presenze che di anno in anno vengono invitate a Topolò non viene richiesta la realizzazione di un’opera. Se l’opera c’è, è nel loro salire (e dei visitatori) verso un luogo che le mappe ignorano; dove la Storia ha dato sovente il peggio di sè, soprattutto in questo secolo.

Involontariamente Topolò-Topolove è diventato una piccola metafora, un microcosmo dove l’idea di confine la fa da padrona con il suo bagaglio di blocchi e di stimoli. Ma non c’è solo il confine. Chi viene invitato si confronta istintivamente con ciò che trova. Ognuno ne riceve stimoli diversi: l’architettura, le vicende vissute, i ritmi, il dialetto sloveno, l’invadenza della natura, le peculiarità culturali, la strada che qui finisce, il silenzio, i contrasti, i riti.

Chiediamo agli invitati di lasciare una traccia anche ideale dell’avvenuto o tentato rapporto. La loro funzione qui è di ascolto, quasi di "servizio". Hanno in comune, ci pare, oltre ad un chiaro percorso nei diversi ambiti della ricerca artistica, anche una curiosità onnivora e una estrema attenzione a ciò che li circonda. In un ambiente artistico è difficile rintracciare persone così, che sappiano la differenza tra vita e curriculum vitae. Se ci riusciamo lo dobbiamo ad un tam tam sotterraneo, ad un passaparola che conduce a Topolò nomi celebri o sconosciuti che talvolta operano solo qui, per riprendere la loro strada di operatori culturali, di uomini "dietro le quinte" ma sempre in ricerca.

Per questo e altri motivi Postaja Topolove non è una mostra d’arte. Forse è il pretesto per un incontro, dove incontrarsi è sempre stato molto arduo. Oggi Topolò è aperto tutto l’anno, con brevi eventi e interventi realizzati anche nelle stagioni fredde in luoghi talvolta impervi.

In una mappa ideale Topolò vorrebbe rappresentare un punto aperto di ospitalità, un piccolo laboratorio dove convivono esperienze culturali diverse. Noi cerchiamo di essere il più accoglienti possibile.

Come raggiungere Topolò

Topolò è una frazione del comune di Grimacco, nelle Valli del Natisone. Si trova, in linea d’aria, a poche centinaia di metri dal confine con la Slovenia. Si raggiunge, da Udine, prendendo la statale 54 per Cividale e proseguendo verso le Valli, in direzione est. A Ponte S. Quirino si segue la strada per S. Leonardo e quindi per Grimacco. A Clodig si trova l’indicazione per salire al paese.

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TOPOLÒ
(Tratto da "Topolò" di Miroslav Janek e Gianfilippo Pedote, Edizioni Di)

Presentazione (Moreno Miorelli)

Questo libro non è solo un documento fotografico, è anche il risultato di una amicizia. Di tante amicizie che si incrociano e che avvengono in un luogo apparentemente sfavorito all'incontrarsi, posto com'è alla fine della strada o al suo inizio.

La scheda dice: Topolò-Topolove. 580 m. s.l.m.; frazione di Grimacco (UD). Abitanti 50. Dentro questa scheda stanno gli incontri di cui sopra, favoriti da una esperienza di arte e di vita che procede dal 1994: "Stazione di Topolò-Postaja Topolove".

Alla Stazione-Postaja attraccano individui che operano nel campo della ricerca artistica; una ricerca inglobata completamente da una necessità di integrità esistenziale che sembra essere la molla primaria dell'agire di chi sale quassù.

Miroslav Janek e Gianfilippo Pedote appartengono a quella schiera.

La scheda di Miroslav annuncia un registra boemo nato nel 1953, che ha iniziato a lavorare con il cortometraggio all'età di 15 anni nell'allora Cecoslovacchia. Dal 1980 al 1990 gli Stati Uniti con riconoscimenti e le collaborazioni prestigiose (Trisha Brown Company, Philip Glass, Godfrey Reggio tra i molti). Miroslav non è solo regista, la sua sensibilità e abilità nel montaggio lo portano a svolgere questo ruolo in films "culto" quali "Powaqqatsi" e "Anima Mundi". Dal suo ritorno in Europa la Televisione Ceca ha prodotto molte delle sue opere. Con "Unseen", presentato in prima assoluta a Topolò nel 1997, ha vinto i Festival Cinematografici di Karlovy Vary e Lipsia.

Coetaneo di Janek è Gianfilippo Pedote, milanese. Il suo nome è legato alla nascita di esperienze importanti nella cultura viva italiana: Radio Popolare, Filmaker, Studio Equatore. Le sue qualità organizzative nel campo della radiofonia lo portano negli anni '80 a coordinare progetti internazionali in Nicaragua. A seguire c'è "Anima Mundi", l'incontro con Reggio e Janek. Nel 1994 il "gruppo" viene chiamato a dirigere "Fabrica", laboratorio multimediale con sede a Treviso ed è lì che la sincronicità che sovrintende alla vita li fa imbattere in Topolò, nella sua Postaja, nei suoi abitanti, nella gente che dai paesi vicini sale per il Senjam, la festa della prima domenica di luglio e nei visitatori non casuali che talvolta giungono da molto, molto lontano.

Erano, queste, fotografie scattate da Miroslav per sè, ma in uno dei tanti incroci di Topolò queste immagini si sono imbattute in Mauro Paganelli, che dell'editoria di qualità è bandiera e in Donatella Ruttar che ha composto il tutto così.

Nell'amicizia che lega persone così care tra loro sta l'ingrediente segreto di questo libro.

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TOPOLÒ

Eccolo lì, come un sorriso discreto che illumina i boschi della valle del Coderiana, lo si vede apparire in alto sulla strada di Clodig - chissà perché così benevolmente rivolto verso il resto d'Italia - e sembra un gioiello di pietra stretto tra le pendici dei monti, una piccola scansione di tetti e di muri che si apre all'improvviso su un mare di verde. E si ha l'impressione che qui la natura voglia prendersi una rivincita e sia in procinto di lanciarsi su quel gruppo di case, per sommergere con la sua vitalità indifferente tutto quel che è lì a raccontare una storia di secoli.

Topolò sarà diventato domani un villaggio divorato dai boschi? No, non andrà così. Se non l'ha travolto il tempo degli uomini, col suo carico di prepotenze e passioni, non lo farà la natura.

Guardate le foto di Miroslav Janek, non mostrano assenze o silenzi incombenti ma anzi, fanno vedere le cose che esistono e che germogliano nel solco di quello che è andato. Ci portano qui, queste foto, in un paese normale che il tempo ha segnato e cambiato ma che è sempre se stesso, con la sua vita un po' agra e un po' dolce, con la sua vita normale....

Stretto nei suoi misteri e nelle sue verità è un bel paese, Topolò, e possiede un nome che sembra uscito da un libro di favole.

Sì, partiamo dal nome. Topolove nella lingua locale, Topolò in italiano, da topol, che è il pioppo in sloveno, un piccolo magico suono così inconsueto che da solo racconta un pezzo di storia del luogo: la matrice slovena, l'appartenenza all'Italia, una lingua (slovena) parlata per secoli interi che la furia tormentata della Storia recente ha cercato di sradicare fin dai cuori di chi l'aveva sempre parlata.

Se ascoltate le storie dei cinquanta anni appena passati, le storie di questa terra, la 'Benecia', appoggiata al confine che oggi si apre sulla Slovenia, ieri sulla Yugoslavia, troverete la traccia di tempi violenti. Quel confine, diventato 'cortina di ferro', fu improvvisamente il limitare, del mondo, una barriera maledetta, invalicabile, proibita. E il capriccio della 'guerra fredda' prese a volgersi contro questo popolo, che era italiano ma che parlava la lingua di quelli di là, dei nemici. Nascosto dietro alla paura parossistica d'oltrecortina ci fu chi, nell’Italia più torbida, operò con ogni mezzo perché venisse cancellata la lingua, la cultura, l'identità di chi viveva in questa regione.

Ma è passata anche questa, speriamo per sempre, e speriamo che la lingua tradizionale di qui, che è bella come lo sono tutte le lingue, continui per sempre ad essere l'anima della cultura di questa gente.

Topolò. Nel periodo della sua massima espansione, circa cent'anni fa, dicono che ci vivevano quasi 400 persone e che tutto intorno al paese, sul pendio della montagna, si disegnava il delicato e familiare ricamo dei campi e dei pascoli, costruito con cura dalla mano dell'uomo. Il paese era attivo e forse, qualcuno lo penserà, la gente era allora più felice, magari perché alla vita chiedeva di meno, c'era da faticare, bisognava tirare a campare e tutto il resto accadeva perché doveva accadere.

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La febbre che ha percorso questo ultimo secolo ha ridisegnato completamente il profilo dell'esistenza e oggi anche qui tutto è diverso. Eppure il paese sembra immobile, ripido sulla costa del monte, stretto nelle sue vie irregolari e scoscese.

Topolò sembra infisso in un mondo passato ma tutti i cambiamenti di quest'epoca hanno affidato anche qui, come a ogni luogo, il compito di rappresentare il punto in cui gli uomini sono arrivati. La sua diversità, la sua particolarità, non è quella che molti vorrebbero immaginare, non è una semplice sopravvivenza del passato. C'è, ma ci parla di oggi e fa parte del mondo come è diventato.

Giù, nella pianura, le città crescono e invadono le campagne fino a toccarsi, unirsi, confondersi. A Topolò, invece, vivono ormai meno di 50 persone che sembrano immerse nel nulla di boschi e montagne. Laggiù il fragore incessante del fare e disfare. Qui il silenzio, insistente, forte. Là si va, qui si ritorna.

Succede che chi viene da dove l'esistenza sembra coincidere fino in fondo col mondo di oggi sia colto da uno struggimento, arrivando a Topolò, quasi un rimpianto, una nostalgia. Forse è questo il gioco della memoria condivisa da tutti, quando richiama un mondo che è andato e lo dipinge più bello e più autentico, perché è scomparso e perché, quando affiora alla mente, non c'è, ma c'è altro.

Lo sguardo saturo delle immagini del nostro tempo vede Topolò da lontano, quasi fosse un'idea. Lo vede come il segno sopravvissuto di una civiltà che non esiste più: la civiltà contadina, la più antica, con le sue radici piantate nella notte dei tempi e le sue leggi all'apparenza eterne. La civiltà che ha resistito alla Storia, che per millenni si è assoggettata al grande disegno di madre natura e che ha finito poi per soccombere solo in quest'epoca.

Quando si aprì il capitolo delle grandi emigrazioni, il mondo nuovo si stava affacciando su Topolò. Lo avrebbe scosso ben bene, non risparmiava nessuno. E oggi anche qui sembra che la Storia abbia vinto, non c'è più un ordine della natura al quale conformarsi ma solo un ordine umano, che porta il segno di grandezze e follie.

Sì, può darsi che a Topolò un'ombra di nostalgia solletichi il visitatore delle pianure, il cittadino insaziabile e inquieto che si spinge quassù come un esploratore del tempo. Chi butta uno sguardo ansioso nelle sue vie, sulle case di pietra, nel fondo degli occhi degli anziani che vivono o sono tornati a vivere in questo loro paese guarda, e vede quello che non ha. Forse non vede altro. E gli prende nostalgia. Se non succede nient'altro è peccato, perché vuol dire che il suo sguardo si è chiuso e non riesce a vedere...

Sarà successo anche a me, anch'io cittadino delle pianure, quando la prima volta arrivai a Topolò, attratto da quel nome allegro e da una manifestazione artistica, 'Stazione Topolò - Postaja Topolove', che ogni mese di luglio, da qualche anno, anima d'un tratto la vita del paese.

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A Postaja Topolove gli artisti invitati sono chiamati a interagire con questo paese, con la sua realtà, la sua gente, il suo passato, i suoi valori simbolici, a incominciare dall'idea di 'confine', che è così carica di significato, qui a Topolò. Arrivano, guardano, ritornano e dispongono le loro opere dentro al paese, nei vecchi fienili, nelle stalle vuote, nelle piazze spontanee che si aprono come squarci sulla valle: sculture, installazioni, film, video, musiche....

L’iniziativa confluisce con la festa del paese, il senjam, a cui si partecipa insieme, con i canti, i cori, le danze, la processione del santo protettore e, dacché la frontiera è tornata ad aprirsi, l'incontro con la gente del paese vicino, a mezz'ora di cammino, in Slovenia, per anni un tabù nel grande tabù d'oltrecortina.

Sembra che questi intrecci non dispiacciano agli abitanti di Topolò: fanno parte del mondo di oggi e degli incontri che si rendono possibili tra le sue mille declinazioni. Forse amano quel poco di animazione che scuote finalmente il paese; forse gli piace vederlo, perderlo, ritrovarlo, il loro paese, se stessi, nello sguardo di altri, quando si espone in un'opera d'arte; magari hanno l'impressione che qui finalmente l'arte non sia una distanza che si apre, ma al contrario uno scambio che cerca di prendere avvio....

Chissà, forse sentono una vaga parentela con gli artisti che vengono qui, per quel sentimento di confine che ha segnato così fortemente il loro passato: in fondo anche chi si fa prendere dal gioco dell'arte si sente spesso addossato a un confine arbitrario e sogna di potersene liberare, per entrare in un mondo diverso. Certo, chi ci riesce trova subito un altro limite, più vicino e profondo, trova il confine che è il proprio e che non si può superare. Ma quando finalmente si riesce a raggiungerlo e quando nessuno impone altri limiti, è questo il confine in cui si è davvero se stessi. Da qui ci si può affacciare sul mondo degli altri con uno spirito nuovo, aperto, attento, con curiosità, con piacere.

E' da qui, da se stesso, che Miroslav Janek lancia il suo sguardo per uscire da sé e per entrarci davvero in questo paese, per osservarlo da dentro, per ascoltarne il respiro.

Per questo le sue fotografie hanno un tocco così reale e concreto, come il disegno sul volto dei suoi abitanti o come l'intonaco delle case, segnato dal tempo. Ma c'è, in queste case e in questi ritratti, anche quell'altro vedere, leggero come un pensiero che si alza al di là di quello che appare. Le sue immagini raccontano ciò che è nato dall'incontro di Miroslav con questo paese, quello che Topolò ha significato per lui, quello che gli ha risvegliato e che non è solo oggi com'è, ma anche com'era, come avrebbe potuto, come amerebbe che fosse, cosa gli dice al di là di un momento, quando rivela ciò che sembra appartenere agli uomini di ogni tempo.

Miroslav ha imparato ad amarlo, Topolò, ha capito perché ne vale la pena e gli è grato perché gli ha dato qualcosa: le sue foto, un lavoro che si dispiega sull'arco di qualche anno, scaturiscono proprio da questo sentimento.

Lui viene dalla Boemia, dove si dice si spingessero un tempo i guzierovci, i venditori ambulanti di Topolò che partivano d'inverno con le spalle cariche di merci, di teli, di maglie e di immagini sacre. Tocca a lui, questa volta, riportare a Topolò le sue immagini, da uomo dell'Est, da uno che ama la gente, che non si tira mai fuori dal gioco, che è legato alla vita e che della vita è portato a vedere l'anima appassionata e insieme malinconica, poetica, fatalmente legata al destino.

Le sue foto descrivono la relazione non sempre armoniosa che c'è tra le linee solide di case e di vie e il mobilissimo mondo interiore di chi attraversa quell'attimo con una sua espressione offerta alla camera. Negli abiti, negli aspetti esteriori delle persone che Miroslav ritrae c'è il segno del tempo attuale, che rivela i passaggi di generazione e la convivenza di gente diversa, il modo nel quale uno vuole essere visto e il mondo al quale dichiara di appartenere.

Tra queste apparenze si fanno largo, ad un'altra profondità, i volti e le espressioni della gente stretti da architetture che incombono su di loro, da costruzioni dell'uomo che costringono, sì, ma che rivelano anche la loro fragilità nella forma tutta rugosa che hanno, imperfetta, lavorata dal tempo.

Le persone brillano tra queste vie e questi muri come un lampo di vita, una luce, un respiro che pare più vero di ciò che hanno intorno. Si perde il senso di cosa sia astratto e cosa concreto e non si capisce chi domini, se un muro piagato dagli anni, ma immobile, come un guardiano del tempo, o l'espressione viva e irriducibile di una persona che è costretta lì in mezzo, chiusa da quel confine che rappresenta la sua storia e i vincoli di cui è portatrice.

Ma ogni tanto arriva la nebbia e si impossessa di tutto, copre e porta via.... La realtà gioca senz'altro con il nostro modo di guardarla e si espone attraverso chi è bravo a ritrarla con una sua semplicità disarmante, che spesso non si vuole vedere: la semplicità della vita e dei sentimenti, una normalità che sfida ogni epoca e che ci rende tutti figli di uno stesso destino.

Quando siamo immersi nelle nostre passioni, ci mordono senza respiro e ci fanno credere di appartenere a noi solamente. Ma quando ci danno un po' di sollievo le vediamo negli altri e ci commuovono, ci fanno sorridere. Ecco, queste foto ci commuovono, perché ci portano a Topolò e da lì ci fanno vedere quel che non cambia mai. Quando scorgiamo l'eternità che si agita in ogni vita, in quel momento sentiamo che questa è la nostra verità ma ci accorgiamo anche che questa verità è la trama della nostra illusione. E l'illusione è come un'immagine, come una foto, che ognuno vedrà a modo suo.

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