L'emigrazione vista da chi l'ha vissuta

Tratto dal "Boletin d'Informasiòn e Interes Locâl"
del Fogolâr Furlan di Ottawa

Un grazie agli autori delle toccanti testimonianze di emigrazione, ed ai responsabili del Fogolâr Furlan di Ottawa, per aver consentito la loro pubblicazione in queste pagine.

L'emigrazione, vista e vissuta da Pabre  

        Per il friulano, in modo particolare fino ad alcuni anni fa (una quarantina per l'esattezza), l'unica industria era l'emigrazione che divenne una  necessità assillante subito dopo l'ultima guerra mondiale, specialmente per i  giovani che cercavano una sistemazione immediata che in Patria in quel momento critico, non potevano trovare. Fra questi friulani nel 1946 all'età di poco più di diciotto anni, pure io mi trovai in cerca di una sistemazione.
        Per dire il vero, non posso dire di essere stato senza lavoro al momento della mia decisine di emigrare, perchè... un lavoro ce l'avevo, essendo impiegato nel negozio di ferramenta di G.&V. Centa di Maniago. L'unico inconveniente era che dopo due mesi non solo non avevo percepito un centesimo, ma avrei dovuto attendere almeno altri otto-dieci mesi prima di vedere un 'carantan', ovvero dopo aver terminato un anno di apprendistato. Capirete, bisognava imparare il mestiere per bene, dopo tutto si vendevano chiodi di varie misure e simili cose, nonché ingredienti per fare sapone in casa, che ancora si doveva fare a quei tempi... (E i diritti dell'uomo non erano stati scritti ancora).
        Ad ogni modo, lasciai questo lavoro e verso la fine dell'estate del 1946, mi trovai a Berna in un ristorante, dove lavorai per più di un anno, prima come aiuto barista e dopo tre mesi come barista. Questa posizione 'privilegiata' l'ebbi perchè durante la guerra avevo studiato un po' di tedesco, altrimenti sarei stato assunto quale aiuto cucina (leggi sguattero).
        Nella primavera del 1948, alle dipendenze di un mio parente, a Zurigo iniziai l'apprendistato di terrazziere e piastrellista e li rimasi per ben quattro anni. Durante questo tempo non solo imparai il mestiere che avrei esercitato poi, anche se in proprio, per il resto della mia vita lavorativa, ma nella solitudine della mia cameretta, lessi e studiai molto per conto mio.
        Continuai ad apprendere più bene il tedesco, che alla fine parlavo e leggevo fluentemente; studiai letteratura italiana e la Divina Commedia, imparando diversi pezzi a memoria; studiai un po' di francese, e soprattutto lessi molto.
        Ma come si sa, era molto difficile poter avere la residenza Svizzera e venuto il momento di mettere su casa con una bella bionda del mio paese, dovetti rivolgermi altrove. La scelta poteva essere il Sud Africa, l'Australia, il Sud America, il Venezuela, o altri posti... Ma avendo già un fratello in Canada, pensai di fare domanda per stabilirmi in quel paese. Così dopo cinque anni di emigrazione in Svizzera, l'otto Dicembre 1951, assieme alla mia giovane sposa arrivammo in Canada, sbarcando ad Halifax dalla nave "Franconia" provenienti da Liverpool. È facile fare delle considerazioni sull'emigrazione senza averla vissuta. Ma per coloro che l'hanno provata, specialmente per il Canada negli anni cinquanta e ancora in pieno inverno, è tutta un'altra esperienza e realtà.
        Quando si hanno dei friulani che fanno visita ai parenti in Canada e decantano (giustamente) le bellezze di questa terra e le impressioni positive nel vedere il Canada dall'aereo prima dell'atterraggio, mi stringe il cuore, non certo per invidia, ma per il ricordo di quel lontano 7 Dicembre 1951, quando verso sera vedemmo terra (forse Terranova), dopo otto giorni di traversata alquanto movimentata e arrivati, non tanto prima di mezzanotte, ad Halifax, dovemmo dormire ancora una notte nell'angusta e scricchiolante cabina, prima di toccare nuovamente terra! Solo l'indomani potemmo sbarcare.
Ma nessuno era ad attenderci... Ci vollero altre ventiquattro ore di treno fra lande isolate e paesetti molto distanti fra loro e il tutto imbiancato di neve, prima di trovare il fratello e la cognata a Montreal, e con loro altre tre ore e mezza (con le strade di allora), per arrivare ad Ottawa.
        Tralasciamo i particolari dei primi tempi, che possono aver durato da alcuni mesi ad un paio di anni, già noti a tutti coloro che li hanno provati e il ricordo è ancora tanto triste e assai penoso per soffermarci ancora sopra... E solo dopo aver trascorso questo periodo, che non è possibile trascrivere in parole, ci si risveglia in una terra fino allora considerata veramente straniera e un po' alla volta si incomincia a capire la lingua e pian piano a farsi anche capire e solo allora si inizia la dura fase di inserimento nella nuova Patria di adozione... E la ferita del trauma di tutti questi strani avvenimenti successi ad un povero, o una povera emigrante, che ormai stanno iniziando il processo di sentirsi immigrati in un paese nuovo, con una lingua nuova, con abitudini nuove, pian piano si cicatrizza, ma di tanto in tanto si fa sentire e sa fare assai male, anche se alla distanza di tanti anni da allora.
        Trascorsi ancora alcuni anni, si sente il bisogno di sentirsi, a pieni doveri e pieni diritti, cittadini di questo paese ed essere considerati tali, perchè a questo punto questa terra sta diventando sempre più anche la nostra terra.
Mentre prima consideravamo nostri compatrioti i veneti, i piemontesi i romani, i siciliani e tutto il resto degli italiani, dopo, oltre a tutti questi, abbiamo imparato a sentirci compatrioti con i nativi indiani, gli indiani dell'India, i neri, i cinesi, gli arabi, per nominarne alcuni.
        Questo era il momento che molti hanno sentito il bisogno di acquisire la cittadinanza del posto. È stato senz'altro un bisogno di riprendere una nuova appartenenza, dopo aver dovuto staccarsi da quella che si aveva, aggrappandosi così alla Patria di adozione.
        Ricordo che alcuni giorni prima della cerimonia ufficiale, ebbi un'intervista privata (come l'avranno senz'altro avuta tutti), con il giudice che avrebbe presenziato alla cerimonia della cittadinanza, il quale mi chiese perchè volessi rinunciare alla cittadinanza italiana e risposi che non era mia intenzione rinunciarvi.  Non era chiaro allora che, acquistando la cittadinanza canadese, si avrebbe perso automaticamente quella italiana. Questo fatto di perdere la cittadinanza italiana era allora, ed è ancora oggi, una spina nelle mie relazioni con l'Italia....  Pazienza aver subito una guerra devastante; pazienza che a causa di questa, per molti di noi non c'era altra via che l'emigrazione, ma togliere la cittadinanza ad italiani che avevano il solo torto di aver lasciato l'Italia in circostanza, diciamo, drammatiche e senza colpa, e levarla con il pretesto che nessun italiano poteva avere doppia cittadinanza, mentre i figli degli emigrati, ad esempio, nati all'estero potevano godere delle due cittadinanze, è stato veramente troppo.
        Ora mi piacerebbe fosse messa da parte la parola "diaspora" tanto cara e sfruttata nei giornali che ci provengono dal Friuli, perchè ormai ci consideriamo e vogliamo essere considerati cittadini delle due nazioni!
        Per la storia, alcuni anni fa ho riacquistato la cittadinanza italiana, anche se con un po' di conflitto con me stesso!
                Paolo Brun del Re, alias Pabre

L'emigrazione, vista e vissuta da Renzo Vidoni  

        Emigrai dal Friuli per il Canada, nel Dicembre 1949. Professione: agricoltore! il passaporto lo può testimoniare. L'agricoltura era sempre stata la mia passione(!?)... Difatti dopo tre mesi decisi di trasferirmi in città ad Ottawa, malgrado le suppliche di tutta la famiglia del farmaiolo (contadino), che con le lacrime agli occhi, non volevano lasciarmi partire. 
Non ho mai saputo il perchè, forse per la mia efficacia o forse perchè ero un buon cattolico (erano devotissimi cattolici)... Mia speculazione! 
        Ad Ottawa subito trovai un lavoro presso una ditta di terrazzieri (per ogni friulano o italiano, sembrava una tappa obbligatoria). Il capo era un veterano friulano, un po' balbuziente, che il primo giorno di lavoro m'introdusse come fare i 'bêis'. "Ma, che c'entrano i 'bêis' con con il cemento, sabbia, cazzuole, ecc.", mi domandai. Non capivo la relazione di 
fare 'bêiz' (in friulano soldi) con questi materiali. Più tardi capii che 'bêis' (base in inglese), sarebbe lo zoccolo nelle stanze, corridoi, ecc.
        Giornalmente progredivo nella comprensione della nuova lingua: "l'italiese'. Era una scuola efficace, perchè molti vecchi italiani erano in questa ditta come capi e operai specializzati e si comunicava in questa lingua! dopo alcuni giorni: sciabola, bordo, traula, corna, pelo, checa, vuilbarro, fensa, brigge, eccetera, erano vocaboli incorporati nella quotidiana occupazione. 
        Soldi (bêis) non si facevano, solo si costruivano con le conseguenze di forti dolori alla schiena, alle ginocchia, sempre sporchi di 'pacjerina' e di polvere, da invidiare la stalla con le sessanta mucche che avevo da poco lasciate!
Ed eccomi, finalmente, allo Chateu Laurier, il più prestigioso hotel di Ottawa. Prima occupazione attendente nella piscina. La 'capa', una matrona che ricordava una secondina nei campi di concentramento, mi diede le istruzioni principali da eseguire: distribuire gli asciugamani e ricuperarli; tenere sempre pulito, con la mappa, i pavimenti degli spogliatoi e docce, sia degli uomini che delle donne. Tutto procedeva alla lettera. La matrona mi prese di buon occhio. Facevo il mio lavoro con molto entusiasmo. Però sempre più sovente arrivavano lamentele dalle clienti: arrivavo improvvisamente negli spogliatoi con un secchio e una mappa in mano, per tenere il pavimento ben asciutto. Nel reparto donne, la mia inaspettata visita veniva accolta con strilli e grida: chi cercava di coprirsi, chi cercava di nascondersi nelle docce, ma io, con assoluto senso del dovere, continuavo ad usare la mappa e alle loro proteste, rispondevo: "Mi no capish, mi cleen! "Finalmente la matrona, non potendo accettare le continue proteste, mi fece trasferire nel reparto 'housekeeping'. Mi trovai con altri due colleghi tra decine e decine di cameriere di camera (chambe-rmaids) di tutte le razze e di ogni età. Dopo avere letto la mano ed azzeccato i sogni amorosi ad una mezza zitella, divenni istantaneamente assai popolare tra loro. Le richieste erano continue e la popolarità in continuo aumento, fino che la notizia arrivò alla capo reparto. Un'altra matrona, dello stesso stampo della precedente, ma più severa ancora, la quale mi diede l'ultimatum di non più azzardarmi a praticare quest'arte occulta con le sue chambe-maids, pena il licenziamento! Si continuò segretamente incontrandosi, per un breve periodo, in qualche ristorante, sempre per la continua pressione esercitata dalle chamber-maids. Per il mio altruismo dovetti cedere e accontentarle!...
        Diversi i lavori che praticai allo Chateu hotel: da magazziniere a 'bus-boy', poi cameriere nelle diverse sale dei banchetti e ricevimenti. qui servii quando la regina Elisabetta venne in visita alla Capitale, così pure Churchill, il governatore generale Alexandre, il primo ministro St. Laurent ed una infinità di personalità.
        Lavorando per lo Chatesu Laurier Hotel, esendo di proprietà del C.N.R. (Canadian National Railway), ebbi l'opportunità di passare un estate a Jasper, nelle montagne rocciose, famosa zona di villeggiatura di alta classe, pure di proprietà del C.N.R. Forse uno dei miei migliori periodi trascorsi in Canada. Stupendo! Qui ero come cameriere in... bicicletta! era una vasta zona cosparsa di cabine costruite di tronchi e per il servizio era necessaria la bicicletta. Era un posto pieno di cervi, orsi, elks e d'ogni sorta di animali selvatici. Più di qualche volta succedeva che, qualche orso attratto dall'odore di marmellate, miele, e altre bontà di prima collazione, seguisse il cameriere ciclista e lo intimidisse col suo ruggire, destando paura affinché, abbandonato il vassoio, o il triciclo, lasciandolo a banchettare con tutto questo ben di Dio. Ritornato allo Chateau Laurier ad Ottawa, un mio amico albanese mi incoraggiò ad associarmi a lui e fare il venditore nelle ore libere, per 'Fuller Brush', famosa marca di spazzole e altri aggeggi casalinghi di rinomata fattura. Esperienze inimmaginabili!
        Il primo giorno, bello, sereno e 27 gradi sotto zero, per dimostrarmi i trucchi, l'amico albanese mi lasciò fuori della porta di diverse case: "Adesso hai visto come si fa per essere sicuro di entrare, vai dall'altra parte della strada e incomincia". Dopo la quinta casa consecutiva che vidi sbattermi la porta in faccia. Nella sesta una signora ben piazzata quando mi chiese cosa volessi, mi vide che dalla mia bocca non usciva parola e dopo aver socchiuso la porta, la riaprì e mi prese per il collare e mi tirò dentro e mi fece sedere su una sedia. Mi parlava e mi faceva diverse domande, ma niente si muoveva dalle mia labbra: ero congelato! Si prese compassione, mi fregò le parti scoperte del viso, fece un te bollente che dopo mezz'ora cominciai a dar segno di... qualcosa. 
        Scendendo dal tram con la mia valigetta dei campioni, ad un tratto questa si aprì e tutte le cianfrusaglie e spazzole, si misero a scivolare sull'incrocio tutto lucido di ghiaccio, sembrava pattinassero in ogni direzione. Macchine e tram bloccati! Col cappellino alla tirolese calcato fino agli occhi ed in ginocchio, cercavo di recuperare questi oggetti, ma il ghiaccio con invisibile forza, non mi faceva proseguire, un ginocchio avanti e due indietro. Macchine e tram suonavano claxon e  campana e il crocevia era diventato tutta una 'jam'!
        Sempre per Fuller Brush, una signora mi comperò una scopa, era tutta eloquente e gentile, mi offerse un caffè e una sigaretta e si accomodò sul divano di fronte a me. La vestaglia si sbottò da una parte, rivelando delle bellissime forme femminili e un po' balbettando le dissi che la prossima settimana avrei fatto il 'delivery'. Puntuale all'appuntamento, con la scopa in mano arrivai all'appartamento. Mi accolse con mille moine, mi offrì un caffè. La vestaglia era differente: era trasparente! Mi chiese quanto costasse la scopa, si diresse in camera e aperse un cassettino. Contava soldi spiccioli. Mi fece capire che forse non arrivava alla cifra. Mi invitò vicino all'armadio per contare la moneta. Sull'armadio una grande foto; la squadrai: "Mio marito", disse lei, "è un camionista, ora è al nord, ritorna venerdì". Io fissavo la foto: tosatura alla 'brush cut', due occhi porcini che fissavano, maniche della camicia arrotolate fino alle ascelle, si vedevano due.. prosciutti di muscoli che occupavano mezza foto, le labbra senza un segno di sorriso, il collo più largo della testa... Lo vedevo nascosto dietro l'armadio, dietro la porta. Fissavo la foto e incominciai a sudare. La signora casualmente fece scivolare la vestaglia... Il cuore palpitava. Presi la scopa, inforcai la porta e in un baleno mi trovai sulla strada dove proseguii a tutta velocità verso un immaginario rifugio...! Perso anche una rara vendita!
        Altra esperienza del Fuller Brush. Una anziana signora ben pettinata e assai signorile, mi accolse nella sua casa ben decorata alla 'Queen Victoria'. Statuette di porcellana e di cristallo su ogni davanzale e sui diversi tavoli; tazze da te di differenti e di trasparente 'bone china'; vasi, tende, ecc,. tutto decorato a puntino e nitido. Esaurito tutto il mio repertorio dimostrativo, esaltando il valore di ogni pezzo individuale, ancora non ero riuscito a fare una minima vendita.  Ad un tratto sentii graffiare la porta posteriore. La signora elegante, tutta eccitata: "È il mio Patty", e corse ad aprire la porta. Il gattino le saltò in braccio e lei tutta eccitata, iniziò a fare le lodi al suo Patty, a dirmi quanto intelligente lo era. Il gattino, essendo tutto bagnato, emanava uno strano odore. Un ultimo barlume saettò nella mia testa; presi nella valigetta una bombola e iniziai a spruzzare in giro alla cucina, decantando il valore del prodotto che eliminava ogni odore sia di fritto, sia di pesce, ed in particolare l'odore dei gatti quando sono bagnati...
        Continuavo a spruzzare così entusiasta, che non notai la prossimità del gattino che la signora teneva in braccio, e nell'euforia decantando il valore di questo deodorante, senza accorgermi spruzzai violentemente sul naso di Patty. Questi, partì dal braccio della signora come un razzo, miagolando disperatamente, saltando sul tavolo, sulle sedie e arrampicandosi alle tende, saltando da un muro all'altro, 
Sentivo solo suoni di cristalli e porcellane a schiantarsi. La signora disperatamente lo chiamava ed implorava a fermarsi.             Ma la devastazione continuava... Presi la mia valigetta e senza chiuderla partii a tutta velocità... Per un anno non osai avvicinarmi e passare per quella via. Continuai quindi, il mio lavoro di cameriere e barista.
Decisi di sposarmi con Luisa. abbiamo avuto un figlio, Marco, e una figlia, Sandra, e presentemente siamo nonni di sei nipotini. Non rimpiango di essere venuto in Canada. nei momenti difficili la mia massima era: "Fa finta di essere sotto la naja!"
        Da barista iniziai, nelle ore libere, a rappresentare ditte di specialità alimentari importate. Decisi di lasciare a malincuore la professione di barista e mi dedicai alla vendita di formaggi di ogni provenienza, circa 250 diverse varietà passarono tra le nostre rappresentanze. Da 25 anni a tutt'ora rappresento una gamma di vini di diverse nazioni. quest'ultima occupazione mi diede e continua a darmi tante soddisfazioni ed esperienze per aver potuto viaggiare e visitare in diversi paesi le svariate culture e metodi produttivi.
        Ricevo una pensione dall'Italia per "volor militare" (partigiano). Per chi fa delle insinuazioni d'essere un milionario, la mia risposta è: "Esatto, si lo sono letteralmente, perchè l'ultimo 'statement' della "Banca Popolare" di "Gargagnà di Sôre", dice che il totale è di: un milione duecentododici mila... lire!. 
                Renzo Vidoni.

        Grazie Renzo per la tua testimonianza personale sull'emigrazione. Anche se fra il serio e il faceto, metti pienamente in risalto l'assillo per una sistemazione definitiva dopo arrivati nella Patria di adozione, con una susseguente normalizzazione della tua vita. Fra le tante parole dei terrazzieri, non hai messo 'cjace' per cazzuola o anche cazzuolino, forse non sei stato abbastanza nel mestiere per averle sentite tutte! Poi non hai toccato per nulla la tua partecipazione alla vita sociale italiana e friulana di Ottawa. Permettimi di mettere in risalto le tue attività nel Fogolâr, nel quale hai coperto tante cariche, culminate con quella di Presidente, che tu hai esplicato superbamente e sei ancora rispettato da tutti per questo. Poi personalmente lasciami mettere in risalto la tua collaborazione al 'boletin' con tanti interessantissimi articoli . Grazie ancora e mandi, amico Paolo.

L' Emigrazione, vista e vissuta da Eugenia Ferrarin  

        Il mio paese d'origine si chiama Arba, ora in provincia di Pordenone. La mia famiglia viveva senza tante preoccupazioni, fin quando (io avevo appena una anno), mio padre mancò. Un paio di anni dopo iniziò la guerra del 1915-1918, e ricordo che la mia fanciullezza è stata molto triste, con miseria e tanti sacrifici.
Sposatami, io con mio marito stabilimmo casa a Venezia dove avemmo tre figli. Questo è stato certamente un bel periodo della mia vita, interrotto dalla seconda guerra mondiale, durante la quale ritornai ad Arba con i tre figli, mentre mio marito rimase a Venezia arruolato con i pompieri.
        Finita la guerra e ristabilita nuovamente a Venezia, venni a contatto con l'emigrazione quando mia figlia dopo aver conosciuto un giovane di Arba, decise di trasferirsi in Canada per sposarlo. Era il periodo che l'emigrazione di massa dal Friuli, ha visto tanti giovani lasciare la loro famiglia, il loro paese e la loro patria per sistemarsi altrove.
        Mi viene in mente un emigrante che partito giovanissimo, senza mestiere, prima della seconda guerra, ritornò dopo tanti anni e stabilì nel nostro paese natale di Arba, una scuola professionale per dare un mestiere ai nostri giovani, forse per soddisfare una sua promessa.
        Il Friuli di oggi, può ben ringraziare anche gli emigrati se si trova nelle condizioni di benessere che si trova ora.
        Alla fine, quando tutti tre i miei figli si erano sistemati ad Ottawa, essendo vedova e sola, decisi di emigrare pure io, alla bella età di circa sessant'anni. Ho lasciato l'Italia con dispiacere, ma ora dopo vent'otto anni, passate le difficoltà iniziali, mi trovo assai bene. Con di più abito in casa della figlia, dove sono ben trattata. Guardando in retrospettiva, posso dire che la mia è stata un'emigrazione da signori! Faccio parte di un gruppo di anziani, la maggior parte inglesi e posso dire che mi trattano con rispetto e gentilezza e io mi sento a mio agio con loro e mi sento inserita nelle loro abitudini.
        Certamente non potrò mai dimenticare dove sono nata, ma avendo tutta la mia famiglia qui, il ricordo del passato è più sopportabile.
        Spero che il nostro Fogolâr Furlàn continui per il futuro, Io l'ho tanto apprezzato per il passato. È stato tanto bello trascorrere delle liete ore con i nostri corregionali e sarebbe bello che anche i giovani sentissero il desiderio di mantenerlo per il ricordo delle origini e cultura dei loro genitori. Apprezzo pure tutte le informazioni che il Fogolâr ci manda e anche il Boletin, che leggo sempre molto volentieri.
        Quando ho visto, sull'ultimo Boletin, l'invito a partecipare con le mie esperienze sull'emigrazione, l'ho fatto molto volentieri e mi sono sentita onorata, perchè son certa che l'esperienza degli anziani come me (quando uscirà questo Boletin, in Settembre, saranno già 89), i racconti vanno molto più indietro nel tempo, ed hanno senz'altro più valore storico.
                Mandi a tutti, Eugenia Ferrarin/Graziani.

L'emigrazione, vista e vissuta da Romano Brun del Re  

        Mio zio Paolo mi ha chiesto di fare un articolo sulle mie esperienze sull'emigrazione e sono lieto di partecipare con l'articolo che segue.
        Ho la bella età di cinquant'un anni, quarant'uno dei quali, vissuti in Canada. Sono originario di Fanna, da dove nell'Aprile del 1959, all'età di dieci anni, son partito con la mamma ed un fratello più giovane di me (una sorella nascerà dopo), per raggiungere il padre che si trovava già da due anni in Canada.
Veramente, sempre a causa dell'emigrazione, papà era un quasi estraneo per me, perchè prima di emigrare per il Canada, da dieci anni era stato in Svizzera, da dove veniva a Fanna a trascorrere un paio di mesi d'inverno.
        Non sono stato di certo parte della decisione e non ero cosciente di quello che mi stava succedendo. Mi è stato detto che si doveva andare. Nemmeno durante la traversa mentre ero sulla nave che da Genova mi avrebbe portato ad Halifax, realizzavo quello che mi stava succedendo.
        Una volta arrivati ad Ottawa, anche se preparato un poco attraverso di contatti con i cugini canadesi, ho dovuto fare diversi aggiustamenti, come conoscere di più mio padre, che prima mi era mezzo estraneo; l'inserimento in un posto con una lingua nuova e abitudini nuove; la scuola molto diversa, almeno fino a quando incominciai a comprendere la lingua; il ricordo del nonno, della zia, degli amici lasciati a Fanna... Insomma un inserimento e adattamento non facili da descrivere.
        Forse, comprendo più ora tutto questo, che non in quel periodo, perchè allora ero troppo giovane per realizzare appieno l'impatto di un così drastico cambiamento di vita. 
        Al presente, anche se mi sento pienamente integrato in questa terra, a volte mi pare di pensare, di vedere le cose e di agire come un friulano; ma quando ritorno in Friuli, mi rendo conto che non sono più friulano, anche se parlo la lingua locale. Mentre, se vado in altri posti, ad esempio negli Stati Uniti o altri stati europei, mi sento soltanto canadese, e non sarebbe giusto fosse altrimenti data l'età del mio arrivo ad Ottawa, e gli anni trascorsi da allora.
        Non posso dire se sarebbe stato meglio per me se fossi rimasto in Friuli, probabilmente mi sarei fatto una vita normale ugualmente, ma le cose sono andate diversamente e le ho accettate come sono state.
                Romano Brun del Re.

L'emigrazione, vista e vissuta da Valentino Gervasi  

        Non avevo alcuna esperienza sulla emigrazione attraverso qualche mio familiare emigrato prima della mia partenza, perchè nessuno della mia famiglia era emigrato dal Friuli prima di me. Ma la guerra ci aveva lasciati spossati e senza lavoro. Avevo già una famiglia numerosa di due figlie, Rita e Marisa, e un figlio, Luciano, l'altro figlio, Donato, nascerà dopo in Canada.
        Lasciata la famiglia a Nimis, nel 1950 arrivai ad Ottawa, Canada. Le prime reazioni dopo arrivato, non erano di certo molto buone: il clima, le abitudini, la lingua, la distanza... tutte cose molto dure da superare!
        Ma poi un poco alla volta, magari inghiottendo tanti rospi, alla fine feci venire la famiglia, almeno avevo questo conforto dopo. Ma devo dire che tuttora, dopo cinquanta anni, mi sento ancora friulano e mi sentirò fino alla morte! Per questo ho apprezzato e ho fatto parte del Fogolâr Furlan di Ottawa e delle sue attività. E quando ero più giovane, ora ho ottant'otto anni, leggevo volentieri tutto quello che il Fogolâr ci mandava e anche il Boletin che ho trovato sempre interessante e piacevole.
        Ho lavorato per tanti anni sulla manutenzione di Pullman, ma poi a causa di un infortunio sul lavoro, sono rimasto debilitato per parecchi mesi. Questi, dopo cinquant'anni di permanenza in Canada, sono tutti ricordi, ma non ho avuto una vita facile!
        Presentemente mi trovo ricoverato nella nuova casa per anziani Villa Marconi, e ringrazio tutti coloro che hanno lavorato tanto per costruire questo centro, dove sono trattato veramente bene.
        Valentino Gervasi.

L'emigrazione, vista e vissuta da Luciano Gervasi  

        Faccio eco a quello che ha detto mio padre Valentino qui sopra (che presentemente si trova ricoverato nella casa di cura per anziani di Villa Marconi, casa ormai conosciuta come il gioiello e l'orgoglio della comunità italiana di Ottawa), dicendo che i nostri anziani in questa casa sono veramente ben trattati. Speriamo possano fare un'addizione a questo edificio come progettato, per altri sessanta e più posti per ospitare i nostri anziani bisognosi di cure giornaliere.
        Dunque, all'età di quindici anni e mezzo, assieme a mamma Anna, recentemente deceduta, alle sorelle Rita e Marisa, nel Luglio del 1952 ci imbarcammo a Genova sulla nave Saturnia, arrivando ad Halifax il 29 dello stesso mese. A dire che in principio ero sperso, è dire poco. Si può dire che era un sogno da incubo data la grande differenza di cultura e abitudini. Ma all'età di poco più di quindici anni, ero ansioso di iniziare la nuova vita.
        Che lavoro fare? Qualsiasi lavoro! Così ho lavorato come manovale nel costruendo "Printing Bureau" a Hull, Ho lavorato nella panetteria Galla e per imparare lingua e mestiere, ho anche lavorato nel negozio Tiezzi. Poi per tanti anni lavorai nel negozio Arnone e infine in proprio con un negozio creato da me e che ancora gestisco.
        Ripeto che il principio è stato molto duro, con momenti di grande sconforto e umiliazione. Però mi sono sempre sentito tanto italiano e friulano, ma in seguito anche canadese. Per questo ho preso la cittadinanza canadese. Ma appena ho potuto riacquistare la cittadinanza italiana, l'ho fatto subito ed ora sono fiero di avere le due cittadinanze.
        Ho sempre fatto parte del Fogolâr Furlan di Ottawa e mi sento parte integra della comunità italiana di Ottawa.
                Luciano Gervasi.

    Luciano non solo fa parte del Fogolâr Furlan di Ottawa, ma da oltre dieci anni ne è il tesoriere e tiene la contabilità come i suoi affari: molto bene e con successo. È attivo nelle attività del Fogolâr e molte volte fa il "Master of Ceremonies" alle feste del Sodalizio. Permettimi Luciano di dire sottovoce che la prossima volta spero che... Beh, lasciamo al tempo decidere. Per ora continua con il tuo entusiasmo e non perderlo. La nostra comunità sta diventando anziana e perciò un po' apatica a tutto. Almeno quelli che possono, non perdano il loro entusiasmo, ma lo trasmettano a tutti noi per aiutarci a mantenerci giovani di mente! Bravo, Luciano. Pabre.

L'emigrazione, vista e vissuta da Alice Comisso-Knox  

        Sono nata nel 1920 a Codroipo, da dove sono partita nel 1924, all'età di quattro anni, con la famiglia per il Canada.
L'unica esperienza familiare con l'emigrazione, è stata la partenza di mio padre, Attilio, ben noto per la sua attività nel nostro Fogolâr, partenza che io non posso ricordare data l'età.
        Naturalmente non ho nessuna memoria ne dei miei primi quattro anni di vita a Codroipo, ne della mia partenza o del viaggio stesso. Però dopo settanta sei anni da allora, e sebbene sia stata sposata con uno scozzese fino ad una anno fa, quando Thomas passò a miglior vita, mi sono sempre sentita friulana e penso questo sia merito dell'influenza della mia famiglia, che ha mantenuto la sua friulanità anche dopo essere arrivata in questa terra.
        Essendo venuta qui in così tenera età, sono stata allevata con abitudini friulane in casa, ma considerando che prima della guerra gli italiani in Canada erano pochi, sono cresciuta nell'ambiente inglesi e ho fatto tutte le mie scuole in inglese. Per questo ringrazio Paolo per trasmettere queste mie esperienze nella bella lingua italiana. Pur tuttavia ho apprezzato il Fogolâr Furlan fin dalla sua formazione e considerandolo sempre tanto interessante. Tant'è vero che appena possibile, ho sempre partecipato alle sue attività con mio marito. Apprezzo molto il "Boletin", anche se non lo gusto a fondo, non essendo troppo fluente in italiano.
        Sebbene non posso dire di essere qui come una vera emigrata dal Friuli, per esempio come coloro che sono arrivati già adulti per i quali dev'esser stata tutta un'altra esperienza, spero che questa mia testimonianza sia ugualmente apprezzata.
                Mandy, I love you all, Alice Comisso Knox.

L' Emigrazione, vista e vissuta da Sandra Cucinelli  

        La mia emigrazione dall'Italia non è da considerarsi una emigrazione dovuta alla necessità di lavoro del momento particolarmente critico del dopoguerra, ma piuttosto una scelta di vita dettata, se vogliamo, dal cuore.
        Infatti sono immigrata in Canada per riunirmi a Luigi, il quale il 17 Aprile 1955 si è recato all'estero proprio per le ragioni del momento, duro e difficile. Allora l'emigrazione era l'unica soluzione per molti giovani volonterosi di affermarsi ed offrire un futuro migliore alla famiglia che desideravano formare.
        Tuttavia posso ben dire che le mie esperienze sono fatte e provate in prima persona, oltre al contatto diretto con persone che hanno vissuto questo passaggio dal Friuli e dall'Italia, ambiente familiare, a quello sconosciuto, ostile e incomprensibile dei primi tempi in Canada. Tutto questo è stato superato solo con tanta forza di volontà; con uno spirito di adattamento e abnegazione; con uno spirito di sacrificio; con orgoglio, o amor proprio, di non cedere; con un duro lavoro e con tanta fiducia e speranza nel futuro.
        Questi sentimenti, queste qualità positive, acquisite tra le pareti domestiche del nostro Friuli, hanno contribuito a forgiare il carattere delle persone e delle famiglie che oggi possiamo incontrare in tutti i strati della vita canadese.
        Premetto di sentirmi friulana per aver trascorso parte della mia infanzia in Friuli, ed aver frequentato le elementari e le tre classi post elementari ad Arba, già in provincia di Udine, ora in quella di Pordenone. Qui ho assorbito e appreso quei valori fondamentali di laboriosità, di onestà e di determinazione, tipici dell'ambiente in cui son vissuta, oltre che dai banchi di scuola, in particolare da due insegnanti che tutt'oggi ricordo con rispetto e simpatia: le maestre Maria Biasoni e Teresa De Cecco.
        Ho vissuto quindi con la mamma, i miei due fratelli e i nonni nella casa paterna, mentre papà era a Venezia e prestava servizio presso i Vigili del Fuoco della caserma di Ca' Foscari. Voglio far notare che è per pura coincidenza che papà ha fatto parte dei pompieri, perchè lo stesso giorno che l'atto di richiamo alle armi è arrivato per lui ad Arba, suo, paese di origine, si è arruolato volontario con i Vigili del Fuoco di Venezia, evitando così di essere mandato in Russia come avrebbe dovuto, essendo Alpino della famosa Divisione Julia.
        Per mia esperienza personale, posso dire che la mia famiglia ha esperimentato l'emigrazione interna (Arba-Venezia), e quella all'estero (Italia-Canada).
        Oltre ai valori fondamentali acquisiti in Friuli, l'istruzione vera e propria l'ho ricevuta a Venezia, frequentando la scuola serale (in ragioneria) per privatisti e lavorando di giorno presso un laboratorio di ricami. Guarda caso, il sig, Sferra proprietà del laboratorio, era di origine italiana emigrato a New York). L'inglese imparato durante questo periodo, su incoraggiamento e insistenza di Luigi, una volta immigrata in Canada, ha reso l'inserimento meno disagevole.
        Come dicevo all'inizio, la mia venuta in questa terra è stata molto facilitata essendo stata una scelta, ma questo non ha escluso completamente i disagi ed anche il risentimento, almeno all'inizio, da parte della popolazione locale. Per migliorare l'inglese ho lavorato per un paio di anni in un negozio in centro città. La maggior parte delle clienti che frequentavano il negozio, parlavano francese, io ero la sola bilingue: italiano e inglese...
        Un giorno una cliente mi si è rivolta in francese ed io mi son dovuta rivolgere ad una mia collega e chiedere il suo aiuto. La cliente arrabbiatissima si è lamentata con la proprietaria Mrs. Gravelle che dovrebbe avere il personale bilingue. Con mio grande stupore e piacere, Mrs. Gravelle gentilmente ha fatto notare alla cliente, per dire poco, esigente che: "Il mio personale è bilingue, ma è lei, cara signora, che non parla una delle sue due lingue".
        Questo fatto mi ha dato un po' di confidenza in me stessa, ma mi ha anche fatto realizzare che in quegli anni essere italiani non era fonte di orgoglio, ma quasi di vergogna, dovuto al fatto, a mio parere, di essere venuti qui per necessità e senza una adeguata conoscenza del paese ospitante, dovendosi adattare a qualsiasi lavoro pur di riuscire ad affrontare questa nuova vita, sognata rosea, ma alquanto diversa nella realtà.
        Oggi, dopo 37 anni di vita canadese ripensando alla moltitudine di giovani sbarcati dalle navi che regolarmente approdavano ad Halifax, muniti di tanta buona volontà, con l'intento di creare un futuro migliore per se e per le loro famiglie, serbo per essi un enorme ed indescrivibile rispetto. Ricordo con molta lucidità le espressioni di molte persone friulane venute prima di me, con le quali cercavo un colloquio, la loro profonda amarezza verso la nostra Patria. Quella Patria che li ha quasi costretti ad emigrare lasciando alle loro spalle affetti, persone care, dimore, aspirazioni... Sentimenti questi, resi ancora più amari dalle difficoltà di inserimento della nuova vita nel paese di adozione.
        Queste testimonianze non possono lasciare nessun essere umano ne indifferente, ne tantomeno insensibile. Oggi come oggi, mi considero fortunata per avere avuto modo, nella mia vita, di sperimentare due modi di vivere, in due mondi completamente diversi; modestia a parte, mi sento arricchita.
        Nel 1976 ho avuto il piacere di frequentare, per due anni, l'Algonquin College. Questo periodo mi ha aiutato a capire enormemente l'ambiente in cui vivo. Nello stesso tempo mi ha dato la possibilità di apprezzare l'istruzione avuta e portata con me dall'Italia. Mi ha fatto realizzare che l'emigrante ha portato con se un bagaglio di esperienze e di visioni per il futuro, che ha aiutato, in parte, questo paese a crescere ed essere il paese di oggi riconosciuto in tutto il mondo, e per molti ancora, il paradiso in terra, come lo era per la nostra gioventù nell'immediato dopoguerra. Mi ha fatto vedere e toccare con mano le abilità del friulano, in qualsiasi parte del mondo che mi sia recata. E l'abilità dell'essere umano di sapersi adattare, di accettare le condizioni imposte e di migliorare la sua situazione con volontà ferrea, in ogni parte che vada.
        Penso che ogni emigrante, anche se con reticenza, può considerarsi privilegiato di aver avuto la possibilità di aver vissuto in due mondi e di avere contribuito, nella sua maniera, a ciascuno dei due.
        I tempi sono cambiati! La parola 'emigrante' penso non abbia più lo stesso significato come in passato. Le difficoltà di quei primi tempi, sono solo un ricordo. Le molte barriere sono demolite. Rimane però, il risultato evidente di diverse generazioni di friulani che hanno saputo sormontare innumerevoli ostacoli per un avvenire migliore per i loro figli.
        Si può dire che la maggioranza è riuscita. Lo possiamo constatare dai nomi italiani e friulani che diventano sempre più numerosi nel campo politico, in quello dell'arte, della tecnologia, e delle professioni a tutti i livelli.
        Ogni ritorno in Italia, ci fa convincere che ora siamo più che mai parte estesa della società italiana.
        Anche molti politici ammettono apertamente il contributo dell'umile emigrante, che con il suo comportamento, il suo esempio ed il suo lavoro, è stato per tanti anni ambasciatore della madre Patria. A rafforzare questo vincolo oggi, possiamo avere la duplice nazionalità.
        È vero che la cittadinanza italiana ci è stata tolta contro la nostra volontà, ma se prima eravamo italiani solo per nascita, riavendola ora possiamo dire che ce l'hanno ridata "honoris causa", perciò come un riconoscimento e una onorificenza che ce li siamo ben meritati. Certo che mi sono sempre sentita italiana e in particolare friulana. Nel caso di noi emigranti di prima generazione, come possiamo dimenticare gli anni della nostra educazione e istruzione? Proprio per questa formazione abbiamo avuto la forza ed il coraggio di affrontare e superare moltissimi scogli. Per questa formazione sentiamo il bisogno di incoraggiare i nostri figli a non dimenticare i luoghi dei natali dei loro genitori. Dopo tutto, per diverse generazioni a venire, le loro radici continueranno a germogliare da quelle prolifiche che si affondano nel Friuli.
        Il caso, o la sorte, dopo la morte di nostro padre, ha voluto che tutta la mia famiglia si fosse trasferita in Canada. La mamma, ottantanovenne, vive con noi e forse è anche questo un motivo per sentirci legati ancor più alle nostre radici. Quando ci riuniamo tutta la famiglia, ci sono tre generazioni sotto lo stesso tetto.
        Alcuni anni fa, per il nostro 25o di matrimonio, siamo andati in Australia. Luigi al momento di emigrare nel lontano 1955, aveva inoltrato due domande: una per il Canada e l'altra per l'Australia. La domanda per il Canada è stata accettata prima. Ma dentro il suo cuore, Luigi, ha serbato sempre il desiderio di visitare quel lontano continente. Io ho sempre pensato che emigrando in Canada, mi sarei allontanata enormemente dall'Italia e dal Friuli. Ma quando ho visitato questa immensa isola dell'Australia, ho provato la vera sensazione della lontananza.
        Nel cuore di Melbourne c'è un'intera strada con negozi, bar, ristoranti italiani. Qui si ha la netta sensazione di essere in una città italiana. Anche qui, l'emigrante ha saputo forgiare un angolo che lo riporti con il pensiero ai luoghi dei suoi natali e delle sue origini... A Camberra, la capitale, visitando il palazzo del Parlamento, tutto in marmo bianco, abbiamo trovato l'evidenza tangibile dei lavori fatti dai nostri friulani. Così pure quando abbiamo visitato nel Brasile, Rio de Janeiro, Sao Paolo, Curitiba, abbiamo visto in diversi palazzi di queste città, dei mosaici che testimoniano la presenza, l'abilità e il lavoro degli emigrati della Piccola Patria.
        Il Canada, nostro paese di adozione, ha dato la possibilità a molti immigrati di affermarsi, progredire ed eccedere in molti campi. Con la presenza del Fogolâr Furlan, c'è ancora la speranza che i nostri figli e i loro figli, possano comprendere il valore e l'Importanza delle loro origini friulane. Solo così la nostra emigrazione potrà essere considerata il ponte che unisce i due mondi: quello alle spalle e quello davanti a noi.
                        Sandra Cucinelli.

P.S. Ringrazio di cuore il Foglolâr Furlan per avermi dato l'opportunità di commentare su questo argomento così importante e vitale per tutti i friulani. Desidero pure ringraziare il signor Paolo Brun del Re, per il suo costante interesse, incoraggiamento e informazioni che ci fa pervenire attraverso il Boletin.