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San Martino del Carso (Sagrado - GO), 11 Novembre 2007
 
Messa per la festa del Patrono



 CAMPANE

Santa Messa per la festa del Patrono, concelebrata da mons. Bruno Vittor
(Canonico Penitenziere del Capitolo Metropolitano di Gorizia),
e da don Davide Ozbot (parroco di San Martino)



 CANTO D'INIZIO



 ESTRATTO DALL'OMELIA



 CANTO

     Mentre mi avvicinavo alle prime case del borgo di San Martino, dal finestrino abbassato delle mia vettura mi giungevano i rintocchi delle campane che stavano accennando allegri passaggi ritmati ... era un gruppo di scampanotadôrs che provava il suo repertorio prima della Messa del Santo Patrono. Solo più tardi, dopo che avevo fatto un largo giro per fotografare la chiesa da diverse angolazioni ed ho parcheggiato l'auto nei pressi del campanile, mi sono visto improvvisamente comparire Andrea Nicolausig, uno dei più attivi collaboratori del "natisone", attento informatore degli eventi che si svolgono nella zona isontina e autore del bell'articolo comparso su "Voce Isontina" e su "Coralia".
     Andrea, con altri due collaboratori del Gruppo Scampanottadôrs di Gradisca d'Isonzo, quel giorno era "in servizio" a San Martino del Carso per dare un tocco di ufficialità alla Festa del Patrono. Dopo la cerimonia religiosa il gruppo di scampanotadôrs si è ancora esibito in una serie di performances, prima di scendere dal campanile e posare per "il natisone".

              
 scampanottata a campane ferme e a campana grande attiva


Nella foto (ad alta risoluzione), Andrea, Federico e Bruno

Le note storiche che seguono, sono state interamente tratte dal volume “La comunità dei Visintin” San Martino del Carso: storia, società, ambiente” opera di Dario Mattiussi edito nel 1992 dall’Amministrazione Comunale di Sagrado. Sono qui riportati alcuni piccoli brani, che non pretendono di raccontare la storia del paese, ma solamente di fornire al lettore qualche “immagine” sul territorio visitato dal “Natisone”.   Andrea Nicolausig 

     “La storia di una comunità è in gran parte la storia del suo rapporto con l’ambiente, con il territorio in cui si stabilisce. L’ambiente contribuisce a disegnare l’organizzazione sociale, le forze economiche, le dimensioni stesse di una comunità poiché spesso queste dipendono dalle risposte che l’organizzazione umana riesce a dare ai problemi posti dalla natura. L’ambiente in cui si inserisce la comunità di San Martino è il Carso. Slataper ne ha lasciato una descrizione che meglio di ogni altra rende l’idea delle difficoltà incontrate da decine e decine di generazioni senza nome nel loro confronto quotidiano e spietato con il Carso. Scrive Slataper: “Il Carso è un paese di calcari e di ginepri. Un grido terribile, impietrito. Macigni grigi di piova e di licheni, scontorti, fendenti, aguzzi. Ginepri aridi… La terra è senza pace, senza congiunture. Non ha un campo per distendersi. Ogni suo tentativo è spaccato e inabissato. Grotte fredde, oscure. La goccia, portando con sé tutto il terriccio rubato, cade regolare, misteriosamente, da centomila anni, e ancora centomila.” Per secoli, almeno fino al secondo dopoguerra, l’atteggiamento del mondo urbano verso questo ambiente è stato di aperto disprezzo. Il Carso era visto come un deserto di rocce e di erba giallastra. (…) Con lo stesso disprezzo venivano considerati gli abitanti di queste terre, condannati dalla natura a sforzi inumani per sopravvivere; grazie al carsolino, anche il bracciante friulano poteva trovare qualcuno da collocare in una posizione inferiore nella scala sociale. Al di sotto ancora c’era forse posto solo per le sue pecore, anch’esse abituate a sopravvivere fra gli stenti.”
     (…) “Alle incursioni dei Turchi sembra legata l’origine della nostra comunità. Dai diari del Sanudo apprendiamo infatti che in quell’anno (1499) il Contarini, capitano di Vicenza, inviò cinquemila uomini in Friuli per fronteggiare le invasioni turche: i vicentini. Negli anni che separano l’incursione del 1499 da quella che nel 1511, secondo il Benussi, devastò la Carsia, i vicentini sono già una presenza diffusa nelle nostre zone. (…) Nei primi anni del 1500, invece, il cognome Visintini o Visintin compare con eccezionale frequenza in una vasta zona che comprende Savogna, Gabria, Vrh (San Michele), Sdraussina, Peteano.
     (…) “Nel 1570 le terre imperiali vennero invase dal conte di Porcia, abate di Moggio. (…) A S.Martino il Porcia giunse il 2 maggio 1570. Più che della comunità e della sua vita religiosa ci racconta dei beni della chiesa. La chiesa sorta sui resti di una fortificazione precedente, gli appariva fra quelle in migliori condizioni del Carso goriziano, forse perché di costruzione più recente. Aveva finestre in vetro (un lusso) e due altari. Il maggiore presentava una tela con la figura della Madonna con il Bambino. Alla sua destra si osservava S. Martino e alla sua sinistra S. Giorgio. L’altro altare era dedicato a S.Antonio. La Messa si celebrava ogni terza domenica del mese e nei giorni di S.Martino, S.Giovanni, S.Antonio, la terza di Pasqua, la Pentecoste e il giorno della Dedicazione. Il curato riceveva 10 staia di biada e 5 conge di vino. La vicinia lamentava però che le frequenti piene dell’Isonzo impedivano spesso il viaggio del sacerdote da Farra a S.Martino, così che gli abitanti erano spesso costretti a rivolgersi (e a pagarlo) ad un altro prete.”
     (…) “Nel 1915, accolte con incredulità, cominciarono a diffondersi voci di una possibile aggressione italiana. La fondatezza di quei timori fu presto evidente anche ai contadini del Carso. Nei primi giorni di maggio i soldati del Genio iniziarono a minare i ponti sul’Isonzo. Centinaia di alberi furono abbattuti per realizzare improvvisate barricate. Lunghissimi convogli di carri trasportavano materiali dalla Bassa Friulana al Carso Isontino, dove genieri, operai militarizzati e uomini della “territoriale” lavoravano per fortificare le cime carsiche.”
     L’evacuazione del paese fu molto meno rapida di quanto si potesse pensare. La guerra era iniziata da una settimana e la Quinta Armata di Boroevic era già schierata sul Carso, quando, trascorsa anche la festività del Corpus Domini, il Comando d’Armata diramò l’ordine di evacuazione. Il parroco e il Consiglio degli Anziani, come quattro secoli prima, tornarono a rappresentare le massime autorità del paese, e diressero l’esodo, accolto con la stessa rassegnazione dell’annuncio della guerra. Una lunga colonna di carri, trainati da buoi, trasportò le famiglie di S.Martino e le loro masserizie lungo la strada del Vallone verso Opacchiasella, Castegnevizza e infine Sesana. I maschi adulti si attardarono a lungo sul Carso, lavorando per i militari e sorvegliando campi e case. Si unirono agli altri solo dopo i primi bombardamenti. I profughi raggiunsero in treno –quasi un sogno per i bambini- Bruck an der Leitha, dove vennero sistemati in un campo provvisorio.”
     (…) “Di quanto intanto accadeva nel paese abbandonato, i profughi non seppero quasi nulla fino al 1918. I giornali tedeschi potevano essere letti solo dai più colti. Per la verità su quei giornali abbondavano le descrizioni di S.Martino ma nessuno avrebbe potuto riconoscervi il paese d’origine. Gli inviati di guerra, italiani ed austriaci, concordarono nel definire S.Martino come il campo di battaglia più terribile di quel conflitto. Per 13 mesi le case e le doline di S.Martino sopportarono una tempesta di fuoco senza precedenti. Il paese scomparve. Le case vennero abbassate alle fondamenta dal tiro delle artiglierie”.
     (…) “Tornare sul Carso, come avrebbero voluto, non fu possibile. L’amministrazione asburgica dispensava contributi ai profughi, ma il Carso era ridotto ad un deserto di pietra. Qualcuno sostiene che i bombardamenti abbiano abbassato la cima del monte S.Michele di sette metri. E’ certamente un dato esagerato, ma è ugualmente certo che i “Visintin” non trovarono più nulla che potesse ricordare la vita passata. Non solo non esistevano più le loro case, anche le doline erano quasi scomparse: trasformate in cimiteri, in accampamenti o depositi militari. Il terreno era cosparso di rifiuti e ovunque emergevano resti di cadaveri insepolti o malamente coperti di pietrisco.
      (…) Appena nell’aprile del 1920 iniziò la ricostruzione vera e propria. I lavori, affidati a cooperative edilizie, si protrassero a lungo. Nel 1922, nel paese erano presenti solo sette nuclei familiari: una trentina di persone in tutto. Solo nel 1925, con la costruzione della chiesa, decisamente sovradimensionata rispetto alle esigenze della comunità, la ricostruzione materiale poteva dirsi conclusa. La maggioranza delle famiglie di S.Martino attese invece pazientemente la ricostruzione delle proprie case, ricreando il paese dal nulla, sulla base delle vecchie mappe catastali austriache.”
     La chiesa, interamente ristrutturata in questi anni, presenta nell’abside una pregevole tela del 1928, che rappresenta il patrono San Martino. E’opera di Clemente Del Neri. La chiesa conserva inoltre due statue votive raffiguranti la Madonna del Rosario e il Sacro Cuore di Gesù.

San Martino del Carso
(Giuseppe Ungaretti)
 

Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro

Di tanti
che mi corrispondevano
non m'è rimasto
neppure tanto

Ma nel mio cuore
nessuna croce manca

E' il mio cuore
il paese più straziato

San Martino del Carso - Uno dei muri, oggi...