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Sesto al Reghena (PN), 4 Marzo 2007
 www.comune.sesto-al-reghena.pn.it

CAP: 33079 - Abitanti: 5686 - Altitudine (s.l.m.) : m. 13 - Superficie : Kmq. 40,53

Sesto al Reghena (PN) www.turismo.fvg.it
Sesto al Reghena, di origini romane (come attestano numerosi reperti), nacque come posto militare e stazione di rifornimento per i viaggiatori che percorrevano la Via Augusta diretti al Norico (Austria Inferiore). Il suo nome deriva infatti non solo dal fiume Reghena, che lo attraversa, ma anche dalla dislocazione all'altezza della sesta pietra miliare (da cui il nome "Sesto") lungo la suddetta via. Verso la prima metà del VIII secolo sorse la splendida Abbazia benedettina di Santa Maria in Sylvis (il cui nome deriva dalla grande foresta che originariamente si estendeva dal Tagliamento al Livenza) resa prestigiosa dalle donazioni di Carlo Magno, Lotario e Berengario. Divenuto florido centro e cittadella fortificata raggiunse il suo massimo splendore nel 1100-1200 quando ben 50 fra ville e castelli sparsi nel Veneto, nel Friuli e nell' Istria dipendevano da lei. Nei secoli successivi decadde progressivamente, soprattutto dopo la conquista del Friuli da parte di Venezia (1420) che la cedette alla giurisdizione diretta della Santa Sede. Nel 1790 beni, giurisdizioni e diritti vennero messi al pubblico incanto.



 CAMPANE



 CANTO D'INIZIO


         
 CANTI



 BENEDIZIONE E CANTO FINALE




Arte e cultura: SESTO AL REGHENA (PN)

Secondo l'interpretazione di un documento nonantoliano, il 3 maggio 762, sulla sponda occidentale del fiume Reghena, i fratelli Erfo, Anto Marco, figli del longobardo Pietro, duca del Friuli, e di Piltrude, fondarono l'Abbazia benedettina di Sesto, resa prestigiosa fin dall'inizio dalle donazioni di Carlo Magno, Lotario, Berengario, e splendida soprattutto nei primi quattro secoli dopo il Mille, allorché cinquanta tra ville e castelli sparsi nel Veneto, nel Friuli e nell'Istria da lei dipendevano. Decadde poi progressivamente, soprattutto dopo la conquista del Friuli da parte di Venezia, che incamerò i beni dell'abbazia, passata in seguito alla Santa Sede Apostolica.
A partire dal 1441 i benefici benedettini vennero dati in commenda (cioè in amministrazione) ad abati (in genere nobili veneziani, cardinali) non residenti, ciò che aggravò lo stato di abbandono del luogo. Nel 1790 beni, giurisdizioni e diritti vennero messi al pubblico incanto. Del vasto complesso abbaziale rimangono alcuni edifici: il robusto torrione d'ingresso, unico superstite delle sette torri di difesa erette nella seconda metà del X secolo, al tempo in cui, dopo le distruzioni causate dagli Ungari, l'abbazia venne ricostruita e fortificata; il campanile, già torre vedetta, robusta costruzione di 33,60 metri d'altezza; la cancelleria, con ampia facciata dall'accentuato sapore romanico; la residenza abbaziale, edificio del XVI secolo, con sbiaditi stemmi affrescati in facciata, ora adibita a sede municipale; la casa canonica, costruita nel 1480 e rimodernata nel Settecento.

La Chiesa abbaziale di S. Maria in Sylvis, edificata a fianco del primitivo edificio dell'VIII secolo i cui muri perimetrali sono stati ritrovati nelle indagini archeologiche condotte in questi ultimi anni, è costruzione piuttosto complessa che presenta un grande atrio (sulla cui facciata, del X secolo, in origine probabilmente liscia, è addossata una scala con balaustra che porta al salone superiore) dal quale si accede alla vera e propria chiesa, a tre navate, con cripta, e quindi transetto sopraelevato, abside centrale e absidi laterali non pronunciate.

Nella lunetta sopra la porta che immette nell'atrio è visibile un affresco con l'Arcangelo Gabriele (metà secolo XIII) in cattivo stato di conservazione, che pare nella sua staticità e solennità essere stato posto a custodia dell'ingresso. Copre in parte un pressoché coevo affresco raffigurante S. Benedetto che tiene legato il drago. Nella loggetta a sinistra, affreschi del secolo XIII-XIV con S. Cristoforo con il bambino sulle spalle e la Vergine in trono con Bambino tra i Ss. Giovanni Battista e Pietro all'esterno; all'interno frammenti di storie cavalleresche della Chanson di Otinel (inizio secolo XIV).

Lo stretto e lungo vestibolo ha uno splendido soffitto quattrocentesco a travature scoperte: è decorato nelle pareti da un complesso ciclo d'affreschi dal significato chiaramente allegorico raffigurante nella facciata interna S. Michele arcangelo che pesa le anime consegnando quelle buone agli angeli che le portano in Paradiso; nella parte sinistra l'Inferno con i dannati sottoposti a terribili pene da un terrificante Lucifero che ha grandi ali dispiegate; nella parete di destra la rasserenante visione del Paradiso con Santi e Profeti in fitta schiera intorno all'episodio centrale con l'Incoronazione della Vergine. Autore dei dipinti, dai colori smorti, spenti, fu intorno al 1490 Antonio da Firenze, che ideò scene dilatate in senso orizzontale dove l'incredibile numero di personaggi prevale sulla qualità pittorica.

A sinistra, nel vestibolo, si apre una porta che immette in una saletta adattata a museo, attualmente in fase di risistemazione. Tra i reperti, un affresco staccato con S. Antonio abate protetto re del bestiame sullo sfondo dell'abbazia di Sesto con le mura turrite (maestro locale, secolo XVII).

A destra, nel vestibolo, la Sala delle Udienze, vecchio refettorio degli abati, con interessanti decorazioni a fresco, con motivi a grottesca ed una Madonna con Bambino ed un abate di profilo (secolo XVI). La sala è oggi una sorta di pinacoteca, nella quale sono esposte alcune tele tra le quali la Madonna del Carmine con i Ss. Antonio abate, Floriano e Antonio da Padova (1766, pittore veneto), S. Andrea con i Ss. Giovanni Battista e Luciano martire (Biagio Cestari di Osoppo, secolo XVIII), l'Immacolata in gloria tra i Ss. Francesco di Paola, Girolamo, Eurosia e Martino Vescovo (Biagio Cestari, secolo XVIII).

Alla fine del vestibolo, a destra buon affresco con Madonna con Bambino tra i Ss. Giovanni Battista, Pietro e un donatore (inizio secolo XVI). Si passa poi all'atrio romanico, suggestivo ambiente già quadriportico della chiesa, in cui andrà osservata una delle raffigurazioni medioevali della morte più originali insieme con le così dette "danze macabre", l'Incontro dei tre vivi con i tre morti (metà secolo XIV). Secondo una leggenda di origine orientale, tre principi a cavallo, ritornando spensierati dalla caccia, incontrarono un eremita che mostrò loro tre sepolcri aperti ognuno contenente un cadavere. Ai giovani terrorizzati i morti si rivolsero dicendo: "Ciò che voi siete noi eravamo; ciò che noi siamo voi sarete".

Ancora nell'atrio, affreschi con l'Incredulità di S. Tommaso e i Ss. Agostino e Ambrogio (Antonio da Firenze, fine secolo XV) ed un piccolo museo-lapidario con frammenti lapidei anche di epoca longobarda ed affreschi staccati e montati su pannello dei secoli XIV e XV (S. Benedetto, Trinità, Beata Vergine benedicente, ecc.). Più antichi affreschi (molto malandati) nei massicci pilastri quadrangolari (S. Elena, S. Cristoforo, l'Assunzione della Vergine: pittore locale del secolo XIII).
Nell'interno della chiesa, più precisamente nell'abside, nel tiburio e nel transetto, troviamo i pezzi d'arte più significativi: affreschi nei quali traspare una cultura mutuata direttamente da modelli giotteschi. Presentano infatti gli elementi essenziali della poetica del grande maestro: attenzione al fatto spaziale, notevole senso volumetrico, uso sapiente del colore, steso a larghe campiture con ricerche quasi tonali; tipologia caratteristica dei volti affilati con occhi a mandorla. Il complesso fu eseguito probabilmente tra il 1324 e il 1336 da due pittori principali, con aiuti, educati sostanzialmente alla prima scuola assisiate ma a conoscenza anche dei cicli del Giotto di Padova: uno dei pittori, anzi, potrebbe essere stato suo aiuto e collaboratore nella decorazione della cappella degli Scrovegni.

Al primo di questi due pittori (il così detto Maestro del Lignum vitae) va assegnata la decorazione superstite dell'abside (Incoronazione della Vergine, Natività di Cristo, Annuncio dell'Angelo ai pastori, figure di Santi), della navata centrale (S. Benedetto conforta i poveri, S. Benedetto istruisce i monaci, scene varie), di parte del transetto (Lignum vitae, Martirio di S. Pietro). Tra essi bellissimo il Lignum vitae, ispirato a quello di S. Bonaventura, usuale nella cultura giottesca, in cui il Cristo è nobilissimo per proporzione ed espressione.

Il secondo maestro, chiamato anche Maestro delle Storie di S. Benedetto, dal fare più drammatico, affrescò le scene del tiburio e del transetto, tra cui meritano particolare rilievo i Funebri di S. Benedetto (molto interessanti i gruppi degli astanti, con viva e realistica caratterizzazione dei volti), il monaco Romano che porta il cibo a San Benedetto (scena pervasa da un fine luminismo) e la Consegna delle chiavi a S. Pietro.

Altri affreschi nella parete d'ingresso (in un riquadro la raffigurazione del fondatore dell'abbazia, Erfo, con la madre, la regina Piltrude, secolo XIV) e nella parete sinistra della navata (simpatica Processione cinquecentesca ultimamente attribuita a Pietro Gorizio).

Nella cripta, oltre ad una Annunciazione, scultura della fine del Duecento, merita di essere visto il Vesperbild (Pietà), scultura quattrocentesca di chiara matrice nordica (nel Friuli-Venezia- Giulia sono undici le statue di tale genere che ancora rimangono, mentre più numerose si ammirano in Slovenia ed in Carinzia). Il pezzo più importante tuttavia è la bellissima urna di S. Anastasia, formata con i resti di una cattedra di marmo greco, ornata di rilievi geometrizzanti, databile all'VIII secolo.

Nella ottocentesca Chiesa parrocchiale di Bagnarola, Deposizione (c. 1540) a fresco di Pomponio Amalteo, avanzo di una decorazione che si estendeva a tutto il presbiterio: deperita nel colore ma capace di rivelare appieno la bontà dell'ideazione e della realizzazione; nella Chiesetta di S. Marco a Mure, affresco della metà del Seicento di Cataldo Ferrara (Madonna in trono con Bambino e Angeli tra i Ss. Marco e Nicolò, Eterno Padre). Nel 1997 è stata ristrutturata e riaperta al culto la chiesetta di S. Pietro in Versiola, verosimilmente risalente al IX secolo. Nel territorio comunale due ville di particolare bellezza architettonica: Villa Freschi Piccolomini a Ramuscello, dalla imponente facciata, con oratorio annesso, e Villa Fabris a Sesto, con affreschi all'interno.
 

 Informazioni tratte da: 
 GUIDA ARTISTICA DEL FRIULI VENEZIA GIULIA 
(
a cura di Giuseppe Bergamini )
dell'Associazione fra le Pro Loco del Friuli-Venezia Giulia