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Dolegna del Collio, 9 Ottobre 2005

     Oggi Domenica 9 Ottobre nella comunità di Dolegna del Collio si è svolto l'annuale appuntamento popolare con la festa mariana della Madonna del Rosario. Ricco di iniziative quest'anno il programma che ha caratterizzato l'evento. E' iniziato alle 9.30, con il raduno, in piazza del Municipio, di fronte alla chiesa parrocchiale, di vari gruppi di scampanotadôrs provenienti da paesi limitrofi, in particolare da Mossa e Gradisca.
     Dalle 10 e sino alle 12, in contemporanea anche con la funzione religiosa, è stato eseguito il concerto continuato di campane denominato "Prima rassegna di scampanìo di Dolegna", con la contemporaneità delle campane delle chiese delle frazioni di Scriò, di Ruttars, di Mernico, oltre a quelle del capoluogo Dolegna. Alle ore 10.30 si è celebrata la messa solenne nella parrocchiale di San Giuseppe con la presenza della corale "San Marco" di Mossa, seguita dalla processione lungo la strada che conduce all'abitato di Dolegna superiore supportati dalla banda di Cormons.
     Il signor "tonino" ha messo a disposizione per l'occasione un carro fiorito per il trasporto della statua della Madonna. Tutta la popolazione si è impegnata inoltre a preparare un degno finale con un rinfresco e una bicchierata per i fedeli, i volontari e tutti gli amici che sono intervenuti nella palestra della ex scuola elementare di Dolegna, adiacente alla chiesa.



 SCAMPANOTADA


 L'interno della parrocchiale con la statua della Madonna


 ...Eucaristia accompagnata dalla Corale San Marco di Mossa...


           
 CANTI E PREGHIERE

...e dopo la Messa in processione per le vie del paese...



 BANDA

...allietati dal Coro di Mossa e dalla Banda Citta di Cormòns...


 I gruppi di scampanotadôrs e il parroco don Silvano con gli attestati di partecipazione

Dolegna: una ghirlanda di case
(F. Tassin “Chiese del Collio” - TNX Andrea Nicolausic)

     Il nucleo compatto di Dolegna del Collio (municipio e chiesa fianco a fianco) si presenta come una ghirlanda di case, uno spazio con due porte, a Lonzano a sud, per Mernico a nord; un ambiente non ancora del tutto compromesso, sul quale si affaccia, non senza significato, il campanile vecchio e la chiesa “nuova”.
Una facciata semplice, lineare, in cui l’architetto Silvano Baresi, sfrondando stili più antichi, ha ripreso qualche elemento dell’antico, in essenziale purezza.
     Non si sa da quando San Giuseppe sia il patrono della chiesa di Dolegna, una cappella gli era dedicata nel Settecento (se il culto è antico, l’interesse per San Giuseppe è più recente, rafforzato soprattutto dai papi, da Pio IX a Giovanni XXIII, che lo proclamò protettore del Concilio).
     Tutte le chiese hanno una storia fatta di popolo, e di gente che può. Questa ne ha una antica e una recente, particolare.
     La prima è narrata da una lettera del cappellano di Cosbana. Siamo al 24 maggio 1766, già da qualche anno c’è movimento per la nuova chiesa. Si sta per iniziare, mancano all’appello soldi promessi, non c’è la calce. Il cappellano, per incarico di Carlo Michele d’Attems, primo arcivescovo di Gorizia, si reca in Povia di Cormons per incontrarsi con Domenico Grinover. Ha con sé una lettera del presule Goriziano; la missione tende a fargli mantenere una promessa: duecento ducati in materiali per la nuova chiesa. L’uomo, all’inizio, si chiude, non ne vuole sapere: aveva promesso, ma se tutto fosse cominciato subito… invece, nessuna novità a tre anni! Si era convinto della necessità di un luogo di preghiera per la pochissima devozione degli abitanti “…quasi tutti Luterani e peggiori d’essi”, e spiega la definizione: “…fra molti non ho trovato altro che soli tre avere la corona… frequentissimi in osteria e quasi mai in chiesa…”. Il sacerdote lo rassicura e lui cede: duecento ducati in materiali, ma niente calce, impegnata per la chiesa matrice di Cormòns di cui è cameraro. Gli dà, anche, altri preziosi consigli e aggiunge che un altro aveva promesso 50 ducati: Giacomo Moretti “chirusico”; anche lui si era raffreddato, ma una lettera di sua eccellenza avrebbe potuto “riscaldare il suo forsi già perduto fervore”.
     Altre difficoltà si frappongono all’inizio dell’opera, e la mancanza della ricordata calcina. Si va informando dove si possa acquistare “mentre quest’anno niuno accende fornaci in queste vicinanze”. Per dire quanto la costruzione sia legata alle circostanza, il cappellano ragguaglia il superiore del fatto che fino al momento la parrocchia è “restata libera dalla gragnola”.
     Comincia nella seconda metà dell’Ottocento la storia più recente, quando l’Imperatore Francesco Giuseppe manda duecento fiorini per la fabbrica della chiesa, ma si tratta forse di consistenti restauri.
La necessità, non più rinviabile, di parlarne concretamente si presenta nel 1909: pratiche su pratiche, finchè, nel 1913, il Ministero impone modifiche al progetto per conservare alcuni aspetti della chiesa vecchia.
Scoppia la guerra: arrivano le truppe italiane; dell’edificio sacro fanno un carcere militare (le funzioni si svolgono in una chiesa- baracca, costruita dal genio).
     Con la pace, iniziano i restauri. Nel 1926, una assemblea di capifamiglia decide, entusiasta, di riprendere l’idea del nuovo edificio. In tempi incredibilmente brevi si demolisce e si riedifica, con il corale contributo della gente: il 23 ottobre 1927 il principe arcivescovo di Gorizia Francesco Borgia Sedej la consacra.
     Che cosa significasse una chiesa nuova, allora, è testimoniato da colui che resse (più tardi) per molti anni, pre Tite Falzari, marianese, cultore della storia degli umili. Racconta di doni in paramenti e suppellettili, giunti da tutta la diocesi (nell’incendio della cappella provvisoria, il 22 luglio del 1927, si era perso quasi tutto), e della prima grande festa per la benedizione della nuova statua di Santa Teresa del Bambin Gesù. Per la Santa, c’era stata una gran festa, con migliaia di persone: portata da Lonzano su di un carro tirato da due cavalli bianchi, in corto sotto gli archi di verde…
     Nella chiesa, il passato, la tradizione, non come ricordo, ma continuazione, sono rappresentati in qualità: la pila dell’acqua santa, primo contatto (acqua lustrale e ricordo dell’acqua battesimale), che nella pietra vede incisa una conchiglia stilizzata, un ceroferario, antico, più volte riparato (di pietra perché il cero, oltre agli alti importanti significati simbolici, rappresentava la comunità quando il Sabato santo si andava alla chiesa matrice); il paliotto dell’altar maggiore (la parte rivolta ai fedeli che ricordava la preziosità nell’avvolgere l’altare).